Comunismo di lusso: una conversazione tra Mark Fisher e Judy Thorne

L’accostamento delle parole “comunismo” e “lusso” è un cortocircuito concettuale capace di accendere ancora una volta il motore dell’utopia.

Judy Thorne & Mark Fisher

Presentiamo nella sua versione integrale la conversazione tra Judy Thorne e Mark Fisher che spiega il significato e il possibile uso del concetto di “comunismo di lusso”. Il testo è stato pubblicato in Futures and Fictions, un libro sull’elaborazione di nuovi immaginari politici, pubblicato da Repeter Press nel 2017. Ringraziamo il Circolo Nomade Accelerazionista per il lavoro di traduzione dalla versione inglese.

Judy Thorne: Il comunismo di lusso1 unisce due concetti che, una volta accostati, si trasformano. Vi sono tutta una serie di associazioni e di significati con le parole “lusso” e “comunismo”. Comunismo, che cos’è il comunismo? La parola richiama persone vestite in tuta da lavoro che faticano in fabbrica, producono in modo inefficiente parti di macchine e vivono in torri prefabbricate di cemento. È possibile, e persino comune, credere che sarebbe meglio espropriare i ricchi e organizzare la produzione collettivamente, e contemporaneamente credere che un tale sistema implichi una personale riconciliazione con una sorta di grigia penuria e la rinuncia a molti dei piaceri del presente. Una bella idea, forse, che tutti possano essere uguali. 

Ma guarda cos’è successo alla fine: l’Unione Sovietica è caduta perché le persone erano invidiose dei beni di consumo occidentali, hanno preso d’assalto il muro di Berlino perché il richiamo dei jeans Levi’s era diventato troppo forte. Nel DDR Museum di Berlino ci sono tuttora un paio di Levi’s appesi lì per essere accarezzati, per farti sentire quanto sono morbidi e ben fatti, per farti capire quanto devono aver sofferto le persone che vivevano sotto il comunismo, e quanto fu inevitabile che alla fine tutto crollasse. Quindi questo è il comunismo.

E il lusso? Quando si vive nel lusso, si è raggiunta la bella vita all’interno del capitalismo. Possiedi uno yacht con eliporto, una piscina a sfioro, cinque cavalli grandi e lucenti, e un orologio così chic che le persone possono vedere quanto tu sia importante dall’altra parte della lounge di un aeroporto di classe business. I beni di lusso sono lussuosi proprio perché sono esclusivi – “esclusivo” è fondamentalmente un sinonimo di lusso.

Comunismo di lusso? Mettere insieme questi concetti non ha molto senso, ed è da questa mancanza di senso che nasce una nuova idea. Scontrando il concetto di comunismo con quello del lusso, si crea una sorta di energia libidica.

Il comunismo di lusso provoca l’immaginazione di ciò che sarebbe possibile in un mondo in cui tutta la ricchezza venisse messa in comune e utilizzata per far progredire la gioia dell’umanità nel suo complesso – un mondo dove tutto è per tutti. “Lusso” e “comunismo” insieme indicano un sistema di valori diverso da quello della merce. Il lusso comunista non sarà uno spreco esclusivo e decadente. Non si tratta di avere uno status più alto – cioè superiore a qualcun’altro. Il nostro lusso non è il piacere di possedere beni esclusivi, ma il piacere di lussureggiare; la gioia sensuale del lavorare meno, di avere tempo per essere improduttivi, e le possibilità di socialità, erotismo e avventure più intense che questo apre. Adoro la vignetta for what we will (ciò che vogliamo) usata nella grafica del movimento per le 8 ore al giorno: come se avessimo tempo ed energia dopo il lavoro per andare pure in barca insieme. Magari dopo una giornata di tre ore, o come parte di una settimana lavorativa di due giorni.

Quando penso al comunismo di lusso, penso sempre alle città. Una città veramente bella, piena di teatri, giardini forestali, corsi d’acqua, caffetterie, splendidi edifici, portici sinuosi, vita, arte – è il modo più chiaro per immaginare il lusso comune. Il lusso comunista è arte e bellezza saccheggiate dai saloni privati, pienamente integrate nella sfera pubblica, ed elaborate e raffinate da questo processo. Non si tratta di abbassare l’arte al livello dell’umile vita quotidiana, come fa qualche arte postmoderna, ma il contrario: significa elevare l’esperienza umana, le strade della città, l’edilizia popolare, al livello dell’arte.

Se immaginiamo case popolari di lusso, è allora che iniziamo ad entrare nel vivo della questione per quanto riguarda il comunismo di lusso. Ci sono alcuni luoghi realmente esistenti che sembrano prefigurativi in questo senso. Per esempio, a Berlino ci sono complessi residenziali modernisti costruiti negli anni ’20 che, quando li ho visitati, mi hanno fatto piangere, perché erano semplici, modesti e belli, e costruiti chiaramente con l’idea di diventare la maniera ordinaria con cui sarebbero state costruite le abitazioni in questo nuovo secolo. Quando si cerca un appartamento economico in questo paese, ci si accorge di quanto sia eccezionale l’edilizia umana in Gran Bretagna. Aree come il Barbican Centre ne offrono alcuni scorci – il Barbican realmente esistente è reso quasi irrilevante dalla sua grossolana esclusività, ma immagina un’intera città costruita come il Barbican, con il suo ritmico splendore di cemento, giardini d’acqua e piazze piastrellate, oltre che un sistema di trasporto pubblico gratuito completamente integrato.

“Pensare alle città è un modo utile per affrontare la questione di come il comunismo di lusso non porterebbe immediatamente alla distruzione della vita sulla Terra, visti quanti pianeti sarebbero necessari per sostenere lo stile di vita dell’americano medio, per non parlare di una vita di lusso. Il comunismo di lusso non affronta direttamente la questione ecologica, ma ci invita a pensare al rapporto tra devastazione ecologica e piacere umano.

Park Hill, a Sheffield, è un altro luogo in cui si può passeggiare e immaginare come sarebbe se le città fossero costruite per il piacere dei loro abitanti. È molto più modesto, ovviamente distrutto dall’incuria e ora quasi del tutto spopolato e trasformato in appartamenti di lusso da Urban Splash. Ma ancora una volta, nonostante il Sytex (SyperYatch Technycal Center, ndr), è commovente andare lì e guardare i parchi giochi, la maestria degli edifici e il mondo che questi sottintendono. Il sontuoso cemento geometrico e i giardini a gradoni della tenuta di Alexandra e Ainsworth a Camden sono, incredibilmente, ancora di proprietà del comune (almeno in parte) – ma, anche qui, ci si può sedere sulle panchine e sognare.

Nell’estate del 2015 a Berlino è stata allestita una mostra sulla pianificazione urbanistica degli anni ’60, che raccontava come le metà est e ovest della città fossero in competizione tra loro per dimostrare la superiorità dei loro modelli economici, utilizzando come cornice la città distrutta e divisa.

comunismo lusso fisher
Josef Kaiser

Questo progetto di Josef Kaiser, ovviamente, non fu mai realizzato. L’idea era che vaste montagne abitative potessero ospitare una popolazione in crescita, disposte in modo tale da garantire che ogni appartamento fosse inondato di luce solare, con il nucleo centrale occupato da qualche industria automatizzata isolata acusticamente. Kaiser ha descritto la megastruttura come “un’accogliente collina con giardini pensili, aperta e messa in risalto da una serie di strutture comuni come sale per la ginnastica, aree giochi o snack bar, ciascuna sui vari piani, facilmente raggiungibili con l’ascensore”. Il lusso comune richiede anche interni completamente diversi, con il lavoro e gli spazi di riproduzione sociale collettivizzati, in modo che nessuno debba mangiare, passare una serata o crescere i bambini da solo se non vuole, e dove la divisione di genere e razziale del lavoro domestico è completamente abolita. Il lavoro domestico, come quello industriale, potrebbe essere automatizzato quanto si desidera, con aspirapolveri che se la cavano da sole e sistemi di lavanderia automatizzati.

Una parola sull’automazione: spesso il comunismo di lusso è associato alla richiesta di “piena automazione”. Ovviamente, dobbiamo automatizzare tutti i lavori che dobbiamo fare al momento e che sono una seccatura, e che sarebbero comunque una seccatura anche se il lavoro non fosse alienato. L’abolizione del lavoro e la riduzione del tempo di lavoro a zero erano alla base delle richieste dei movimenti sociali in tutta la storia del capitalismo. Negli anni ’70, ’80 e ’90, le rivolte operaie in Italia, il sindacalismo militante e la cultura rave hanno agito prettamente per ridurre al minimo il tempo effettivamente trascorso al lavoro. Ma anche se il lavoro fosse completamente non più alienato e le persone avessero un’autentica proprietà collettiva e un controllo democratico sui prodotti del loro lavoro, ci sarebbero comunque molti lavori che le persone non vorrebbero fare, che sono noiosi, sgradevoli o pericolosi; questi dovrebbero essere automatizzati il più possibile, per liberare quanto più tempo da dedicare ad attività che siano soddisfacenti, deliziose e sublimi.

Ma è importante chiarire che l’automazione di per sé non libera mai, e può al contrario portare a un’oppressione più profonda. Il JobCentre eccelle nel rendere il tempo non speso al lavoro ancora più duro, degradante e miserabile del peggior lavoro; ed è, ovviamente, preferibile alla fame, l’altra alternativa al lavoro nel capitalismo. L’automazione del bucato e del taglio delle verdure non libera le donne. Ciò che libera il tempo umano è la costruzione di una società basata sulla libertà, l’uguaglianza e l’aiuto reciproco – questo è valido per qualunque tipo di tecnologia che una società possieda, dall’età del bronzo alla fantascienza. L’abolizione del genere richiede una rivoluzione femminista queer. Ma la collettivizzazione del lavoro domestico fa parte dell’abolizione del genere, e fare quel lavoro, collettivamente o meno, sarà più facile e piacevole se ne automatizzeremo le parti noiose.

Uno dei primi tentativi di manifestare architettonicamente la collettivizzazione del lavoro domestico è la Casa del Narkomfin a Mosca. L’edificio fu completato nel 1932, momento in cui l’esplosione dell’immaginazione radicale avvenuta dopo la rivoluzione del 1917 era stata in gran parte soffocata dallo stalinismo, per cui il Narkomfin era obsoleto ancor prima di essere terminato. Ma era una meravigliosa espressione architettonica del primo femminismo sovietico, che negli anni ’20 era molto più avanti di qualunque periodo successivo. Narkomfin aveva cucine, sale da pranzo e lavanderie comuni, un asilo nido, una palestra e una biblioteca. Le sue alte finestre si affacciavano su un parco e inondavano le stanze di luce. Lo spazio privato era visivamente e fisicamente diffuso negli spazi comuni dell’edificio e nei giardini circostanti. L’edificio era riservato ai lavoratori d’élite del Ministero delle Finanze, e poi ad altre specifiche categorie di lavoratori via via che le mode cambiavano e l’edificio diventava meno prestigioso. Ma si trova ancora a Mosca, e l’idea serve ancora come punto di partenza per immaginare spazi abitativi femministi e comunisti di lusso.

comunismo lusso fisher
Barbican Centre, Londra.

Le migliori descrizioni dell’urbanistica comunista di lusso che ho letto si trovano nella Trilogia di Marte, i romanzi di fantascienza di Kim Stanley Robinson; in A Pattern Language, di Christopher Alexander, un libro di urbanistica degli anni ’70 che descrive seriamente come pianificare una città estremamente deliziosa; e in Sul filo del tempo, un romanzo utopico femminista di Marge Piercy. Una caratteristica comune di queste città utopiche di fantasia è che si basano su principi ecologici. Le città descritte sono costruite principalmente per il piacere umano, ma sono anche progettate per essere sostenibili per il piacere delle generazioni future. 

Pensare alle città è un modo utile per affrontare la questione di come il comunismo di lusso non porterebbe immediatamente alla distruzione della vita sulla Terra, visti quanti pianeti sarebbero necessari per sostenere lo stile di vita dell’americano medio, per non parlare di una vita di lusso. Il comunismo di lusso non affronta direttamente la questione ecologica, ma ci invita a pensare al rapporto tra devastazione ecologica e piacere umano. Nonostante il cambiamento climatico sia una profonda minaccia per tutta la vita, il movimento ecologista ha affrontato il problema di come trasformare la resistenza al cambiamento climatico in un fenomeno veramente di massa.

Nelle riunioni verso la fine del Climate Camp, si sentiva spesso la gente parlare del problema come se stessimo predicando una green austerity. C’è stato un periodo molto strano all’inizio del governo di Coalizione e dell’era dell’austerity, quando la retorica dello stringere la cinghia suonava come un’eco malata della retorica ecologica. Un’ecologia comunista anti-austerity dovrebbe essere riformulata come parte del progetto generale di promozione del piacere umano. L’intersezione di Earth First! e della cultura rave negli anni ’90 ne è un esempio. C’è anche qualcosa del comunismo di lusso in parte dello spirito dell’ecologia profonda; c’è molto in essa che ha anche qualcosa di antiumano, ma l’idea secondo cui dovremmo organizzare la società in modo tale da dare la priorità alla gioia estetica e spirituale delle foreste e delle montagne non è estranea al comunismo di lusso.

Anche la liberazione queer del sesso dai tetri vincoli capitalistici del genere binario e del lavoro riproduttivo è un aspetto del comunismo di lusso. Una meravigliosa incarnazione di questo principio è il lavoro di Jack Smith, un regista degli anni ’60, il cui lavoro cattura assolutamente lo spirito lussureggiante e voluttuoso del comunismo di lusso. Jack Smith utilizza tòpoi di film di serie B e immagini di lussuria sensuale per creare visioni di utopie kitsch e surreali. I suoi film sono pantheon di piaceri, abitati da un glitterato cast di allegri queer. Sono immagini di vita al di là del capitalismo, al di là del patriarcato; un’Atlantide di sesso lussureggiante e splendore da campo, che spinge i limiti dell’immaginazione estetica e politica. Il manifesto di Smith, Capitalism in Lotusland, delinea così il suo progetto d’arte utopica:

Lascia che l’arte continui a essere divertente, evasiva, sbalorditiva, affascinante e naturalistica – ma lasciala anche caricata di quelle informazioni ricamate nelle trame insulse, ad esempio, dei film. Ogni opera sarebbe un’esposizione più o meno completa di un argomento o di un altro. Quindi avresti Tony Curtis e Janet Leigh impegnati a fare lo yogurt; Humphrey Bogart che si batte per introdurre un corso base di diritto civile nelle scuole pubbliche; bambini che vengono dati ai vecchi nelle case per anziani da Ginger Rogers; abitazioni a forma di ciambella con la luce del sole che si riversa nei patii centrali per tutti, progettate da Gary Cooper; morbide e plasticose auto di gomma trasparente con ganci che si attaccano a monorotaie costruite da Charlton Heston, che passano sopra i Free Paradise di oggetti abbandonati nel centro delle città, vicino a dove sarebbero allestiti anche i set dei film collettivi; e dove Maria Montez e Johnny Weismuller lavorerebbero per cancellare tutti i confini nazionali e liberare i prigionieri di Urano.

Da un manoscritto performativo per “Irrational Landlordism of Bagdad,” presentato nalla Fiera dell’Arte di Colonia, 1977.

Quindi, alla fine, a che serve il comunismo di lusso? A che serve la richiesta del “lusso per tutti” in un mondo in cui i primi passi urgenti che un progetto comunista deve compiere sono la fornitura di alloggi sicuri, cibo adeguato e assistenza sanitaria per tutti? Slogan utopici e realtà immaginarie hanno un ruolo anche in un presente che vibra nel rombo sordo della distopia. L’autrice di fantascienza e fantasy Ursula Le Guin ha affermato che, per creare concretamente il futuro, bisogna andare oltre lo stretto realismo: servono poesia e visioni di una realtà più ampia. Dobbiamo inventare finzioni sul futuro, per poi renderle reali. Non si tratta solo di evadere, nel senso di creare un’irrealtà in cui rifugiarsi, anche se sostengo che l’evasione sia uno strumento legittimo, persino necessario per la sopravvivenza psicologica e immaginativa all’interno del realismo capitalista.

Park Hill, Sheffield.

Si tratta di costruire un contropotere per porre fine al capitalismo e contemporaneamente sopravvivere al suo interno mentre lo combattiamo; sopravvivere soggettivamente oltre che materialmente. Le nostre storie di vita e noi stessi siamo ritmati spietatamente da un capitalismo che richiede un lavoro emotivo instancabile e un miglioramento continuo delle prestazioni. Contrastare – o puntare oltre – queste richieste pretendendo la realizzazione delle grandiose utopie della nostra immaginazione può essere un modo per rinnegare emotivamente la pressione a interiorizzare la valutazione che il capitalismo fa di noi, e a ribaltare questo meccanismo sul sistema stesso.

“Quindi, alla fine, a che serve il comunismo di lusso? A che serve la richiesta del “lusso per tutti” in un mondo in cui i primi passi urgenti che un progetto comunista deve compiere sono la fornitura di alloggi solidi, cibo adeguato e assistenza sanitaria per tutti? Slogan utopici e realtà immaginarie hanno un ruolo anche in un presente che vibra nel rombo sordo della distopia.

Mark Fisher: Penso che il concetto provocatorio del comunismo di lusso compia tre passi importanti nel contesto delle recenti lotte politiche. In primo luogo, la postulazione di un concetto positivo – o di due concetti positivi – rappresenta una rottura rispetto alla tendenza del pensare alla politica di sinistra unicamente in termini di resistenza e opposizione. Inquadrare ciò che stiamo facendo come una lotta per il comunismo di lusso, piuttosto che contro il capitalismo, ci porta oltre gli automatismi dell’anticapitalismo. Una critica che è stata rivolta spesso alla politica di sinistra negli ultimi anni è che ha chiaro ciò che non vuole – il capitalismo – ma non ha chiaro ciò che vuole. Penso che questa sia una critica più che giustificata, e non è fatta solo dalla destra maligna. A volte sono proprio coloro che simpatizzano con la critica della sinistra al capitalismo a mettere in evidenza questo punto. Soprattutto dopo la crisi finanziaria, capiscono fin troppo bene i problemi del capitalismo. Quello che però non riescono a immaginare è un’alternativa. Questa incapacità anche solo di immaginare un’alternativa fa parte di ciò che intendevo per realismo capitalista, e andare oltre il realismo capitalista implica allontanare l’enfasi dal capitalismo. Adottare come obiettivo positivo qualcosa come il comunismo di lusso significa poter iniziare a vedere il capitalismo come una forza di resistenza e ostruzione. Si potrebbe dire che il comunismo di lusso nomina ciò che il capitalismo deve impedire per continuare a rimanere in vita.

In secondo luogo, penso che il concetto spezzi quello che potremmo chiamare il monopolio del capitalismo sulla libido. Questo è ciò che rappresentavano i jeans Levi’s: l’idea che solo il capitalismo poteva produrre ciò che è desiderabile. (Negli anni ’80, c’era una pubblicità televisiva basata su queste associazioni, che mostrava un adolescente che contrabbandava Levi’s nell’URSS.) Questo ha portato, velocemente, alla conclusione che solo il capitalismo sia desiderabile. È un pilastro della propaganda della Guerra Fredda e della propaganda che si è diffusa dopo la caduta del blocco sovietico: in poche parole, il motivo per cui il comunismo non avrà successo è che nessuno lo vuole. Come tu suggerisci, il concetto di comunismo di lusso slega il comunismo dalle associazioni con il grigiore anti-libidico. Inoltre, invoca una ricchezza, un’abbondanza rossa, per usare i termini di Francis Spufford, che fa sembrare i prodotti del capitalismo piuttosto pacchiani. Questa è la prospettiva del personaggio di finzione Nikita Krusciov nell’Ultima favola russa di Spufford (un’opera straordinaria, che fa decisamente parte del canone comunista di lusso): sì, il capitalismo ha prodotto ogni tipo di meraviglia, ma lo ha fatto in modo casuale e fortuito. Come sarebbe se questa meravigliosa produzione fosse gestita nell’interesse di tutti?

Il terzo importante contributo che il concetto fornisce è quello di spostarci fuori dai nostri attuali assetti cognitivi. Come hai ben sottolineato, nelle loro significazioni prestabilite, “lusso” e “comunismo” sono concetti antonimi tra loro; la loro fusione non ha senso. Quindi, anche solo iniziare a pensare a cosa potrebbe significare il comunismo di lusso, permette di scollare gli abituali schemi di pensiero stabiliti dal realismo capitalista; richiede un movimento dell’immaginazione, la conduce in un altro mondo.

Immagine generata con IA

JT: Sì, questa è esattamente la funzione del concetto: è nonsense, e quindi ti invita a creare nuovi significati per “lusso” e “comunismo”, che ti spingono ad andare fuori di testa immaginando una nuova utopia.

MF: Mi chiedo però se l’enfasi sull’utopia sia giusta. Temo che la perdita delle ambizioni della sinistra verso una realtà utopica sia il rovescio della medaglia del realismo capitalista. Il capitale si appropria di ciò che è realistico, di ciò che è realizzabile pragmaticamente, e lascia a noi l’utopico. Mi sembra che una delle sfide cruciali implicite nell’idea del comunismo di lusso sia che il senso di questa stessa idea, come dici tu, possa essere effettivamente realizzabile ora. Gli ostacoli a una riorganizzazione e redistribuzione egualitaria delle risorse non sono materiali o tecnologici: sono politici. Quindi suggerirei, piuttosto che allinearci con l’utopismo, di sviluppare un’idea di realismo comunista. Il comunismo di lusso non è solo radicalmente diverso da come viviamo ora: è anche realistico e realizzabile. È solo nonsense dal punto di vista di un sistema che è esso stesso un’assurdità; è solo irrealistico dal punto di vista di un sistema insostenibile, e che è disposto a tutto pur di preservare le proprie fantasie.

JT: Formulare un realismo comunista egemonico è esattamente ciò che dobbiamo fare! Distruzione ecologica, crisi economica, automazione: le condizioni materiali del presente mostrano che l’idea del business-as-usual è tremendamente irrealistica. Dobbiamo solo tirarcene fuori e accettare che non saremo mai in grado di riportare indietro le lancette dell’orologio all’età dell’oro neoliberista dei primi anni ’90! Ma ciò che noi, come realisti comunisti di lusso, dobbiamo far passare è l’idea che, con la dissoluzione dello status quo neoliberista in atto, la distopia non è affatto inevitabile.

E penso che l’utopismo sfrenato possa giocare un ruolo in tutto questo, permettendoci di immaginare versioni del futuro che non siano solo distopie. Abbiamo bisogno di creare uno spazio discorsivo in cui non sia solo lecito, ma necessario e realistico, immaginare i futuri che vogliamo. Per delinearli. Per progettarli. Quando intervisto le persone su ciò che desiderano per il futuro del mondo, mi accorgo spesso che si sentono a disagio nell’esprimere il desiderio a livello sociale, piuttosto che individuale, perché sembra loro assurdo e irrealistico. Creare uno spazio per il desiderio collettivo è la modalità dell’utopismo verso cui tende il comunismo di lusso, credo.

MF: Suppongo che il nostro disaccordo qui – che potrebbe essere solo terminologico – sta nel fatto che stai vedendo l’utopismo come compatibile con il realismo (comunista), mentre io vedo che l’utopismo punta – retoricamente e strategicamente – a qualcosa di completamente diverso dal realismo. Sono assolutamente d’accordo sul fatto che dobbiamo generare futuri possibili che non siano distopici, ma non credo che l’utopia sia l’unica alternativa alla distopia. Come tu suggerisci, esiste una sorta di equivalenza dialettica tra utopico e distopico nella forma attuale (collassata) del neoliberismo. Il tentativo di salvare l’utopia neoliberista sta rendendo sempre più probabile la distopia.

Penso che preferirei parlare di iperstizione – che è stata definita come il processo attraverso il quale le finzioni si rendono reali – piuttosto che di utopismo. Gran parte del capitalismo funziona attraverso processi iperstizionali. In effetti, si potrebbe sostenere che il capitale stesso è un’iperstizione. A un livello più piccolo, le varie tecniche di persuasione utilizzate dal capitale – in cui postulare il successo di un prodotto aiuta a garantirne il successo stesso – sono buoni esempi di pratiche iperstizionali. Credo che dobbiamo pensare a come sarebbe una pratica iperstizionale comunista. Si potrebbe dire che l’intera teoria della coscienza di classe da Lukacs in poi fosse il tentativo di fare proprio questo. La coscienza di classe sarebbe una specie di circuito autoavverante, per mezzo del quale il nuovo soggetto rivoluzionario autoprodurrebbe se stesso. La coscienza di classe non riflette passivamente uno stato di cose già esistente: interviene attivamente per produrre qualcosa di nuovo.

È importante estendere questo tipo di analisi al livello più “molecolare” della presa di coscienza, cosa che so che interessa a entrambi. Uno dei problemi della sinistra stava nel convincere le persone che l’attività politica potesse produrre risultati nell’immediato (o almeno a medio) termine, non solo in un futuro incredibilmente lontano. Pensare a ciò che stiamo facendo in termini di presa di coscienza – dove una delle sue dimensioni è la pratica collettiva della disidentificazione da categorie, concetti e forme di soggettività dominanti – è un modo per evolverla. La trasformazione più importante della coscienza – e che non è mai stata così importante come nelle condizioni neoliberiste di individualizzazione obbligatoria – sta nel riconoscere che esistono cause comuni per ciò che normalmente sperimentiamo come miseria individuale. Non è colpa mia: è colpa del patriarcato capitalista. Potremmo anche “saperlo”, ma tale conoscenza è vuota se non possiamo sentirla e viverla davvero, e tutto nella cultura capitalista è progettato per farci dubitare di ciò che sappiamo, e per farci vivere e sentire solo all’interno delle categorie e dei concetti capitalisti. È solo stando insieme in maniera differente che possiamo uscirne.

Un modo di vedere il neoliberismo – e la più ampia cultura neoliberale – è quello di vederlo come un insieme di pratiche specificamente progettate per ostacolare la presa di coscienza. Forse l’arma più potente in questa lotta è stata la scarsità del tempo, e qui possiamo tornare alla questione del lusso. Pensare di avere il tempo per lussureggiare ci fa capire fino a che punto la povertà sia ormai diventata endemica. Anche ai ricchi sembra mancare questa capacità di lussureggiare. In effetti, i ricchi sembrano orgogliosi di non avere il tempo per lussureggiare. Gli amministratori delegati e altri capitalisti abbracciano con entusiasmo il dominio delle loro vite attraverso il lavoro. È un lavoro cospicuo piuttosto che un consumo cospicuo.

“Il lusso capitalista è sempre impegnato a distrarci dalla reale possibilità di liberazione dal lavoro; il lusso comunista sarebbe piuttosto incentrato sulla consapevolezza che potremmo lavorare meno e soddisfare i nostri bisogni e le nostre passioni.

La scarsità di tempo ostacola la presa di coscienza, perché la presa di coscienza richiede tempo: una particolare modalità di tempo – un tempo di assorbimento e di cura – che è estremamente difficile raccogliere nelle attuali condizioni di precarietà e di contrazione digitale. Al momento, c’è un circolo vizioso in atto. Quello che vogliamo è più tempo – tempo per andare in barca! Ma ora abbiamo bisogno di tempo per poter pianificare e lottare per la liberazione del tempo futuro. La sfida immediata del comunismo di lusso è intervenire in questo circolo vizioso: trovare modi per condividere e moltiplicare le scarse risorse temporali di cui già disponiamo. Come possiamo lussureggiare adesso? Come possiamo iniziare a riqualificarci per vivere il tempo in modo da sfuggire agli imperativi e alle urgenze del capitalismo?

JT: Penso che il mio concetto di “utopia” sia informato dall’uso anarchico di questo termine, dall’idea dell’utopia propulsiva, che anima l’azione prefigurativa nel presente, che crea spazio. Quindi, la creazione di un tempo condiviso da trascorrere in gruppi di autocoscienza, dove vivere il lusso dell’assorbimento e della cura reciproca, secondo la mia definizione, è di per sé utopico. Ma il concetto è notoriamente frammentato nel doppio significato buon-luogo/non-luogo, che significa contemporaneamente la realizzazione finale della speranza e la sua futilità; quindi, forse, l’iperstizione rappresenta meglio l’enfasi del realismo comunista di lusso sulla realizzazione del desiderio. Tutto ciò non risponde però alla domanda sul tempo, che è a mio avviso la più urgente da risolvere quando pensiamo a come costruire l’utopia adesso (o come iperstizionare il comunismo di lusso).

MF: La questione del tempo è complicata ma importante, in parte perché il tempo è stato depoliticizzato. Pensare al comunismo di lusso in termini di sovrabbondanza di tempo può aiutare a contrastare questa situazione. In primo luogo, può iniziare a de-naturalizzare l’attuale governo dell’ansia, dove la mancanza di tempo o, per essere più precisi, la nostra costante immersione in un tempo fatto di urgenze incastonate tra loro, viene dato per scontato, anzi viene libidinizzato. Gran parte di ciò che Jodi Dean chiama capitalismo comunicativo dipende dalla libidinizzazione di questo essere “sempre accesi”, aperti ai flussi di comunicazione. Mi piace pensare che il comunismo di lusso ci possa portare fuori da questa forma temporale. Nel capitalismo, uno smartphone era un lusso (in molte aree del mondo capitalista, ora è più vicino a essere una necessità, qualcosa che è stato reso centrale nel nostro lavoro e nella nostra soggettività); il lusso del comunismo di lusso sarebbe, per contrasto, una liberazione da molte delle cose che lo smartphone attualmente tiene in piedi e facilita. In Eros e Civiltà, Marcuse scrive che “quanto più vicina è la possibilità reale di liberare l’individuo dalle costrizioni giustificate a suo tempo dalla penuria e dall’immaturità, tanto più grande diventa la necessità di mantenere e di organizzare razionalmente queste condizioni per evitare che l’ordine del potere istituito si dissolva”.

E prosegue: “In cambio delle merci che arricchiscono la loro vita, […] gli individui non vendono soltanto il loro lavoro ma anche le loro ore libere. […] Tutti hanno innumerevoli scelte, innumerevoli marchi di fabbrica, che sono tutti della stessa qualità e li tengono occupati e fanno divergere la loro attenzione da quella che dovrebbe essere l’unica vera conclusione: rendersi conto che potrebbero lavorare di meno e determinare i loro bisogni e le loro soddisfazioni da sé”. Questi passaggi mi arrivano come qualcosa di straordinariamente profetico, soprattutto alla luce dell’ascesa del capitalismo comunicativo e delle sue tecnologie. Il lusso capitalista è sempre impegnato a distrarci dalla reale possibilità di liberazione dal lavoro; il lusso comunista sarebbe piuttosto incentrato sulla consapevolezza che potremmo lavorare meno e soddisfare i nostri bisogni e le nostre passioni.

Nausicaa e la valle del vento, Hayao Miyazaki, 1984

Hai fatto riferimento diverse volte alla cultura rave, e varrebbe la pena riflettere un istante sul ruolo che la cultura popolare potrebbe svolgere nella costruzione delle condizioni per il comunismo di lusso. La cultura rave è stata l’ultimo esempio di cultura psichedelica popolare. Ho iniziato a pensare proprio a un “comunismo acido” – una fusione tra lo psichedelico e il militante che si è manifestato in momenti reali della storia (forse soprattutto nell’Italia degli anni ’70), ma che era, per la maggior parte, di una virtualità inquietante. Le culture psichedeliche si concentrano sulla coscienza in un modo diverso ma potenzialmente complementare alle pratiche di autocoscienza politica. La coscienza nella cultura psichedelica è sempre radicalmente plastica e mutevole. A ciò si affianca una certa esperienza del tempo – lussureggiante, immersiva – che alimenta una politica di rifiuto del lavoro.

È triste, catastroficamente triste, che la sinistra mainstream – sia socialdemocratica che marxista-leninista – non sia riuscita a connettersi con la politica libertaria e anti-lavoro implicita o vernacolare nelle culture psichedeliche. Ma forse quella fusione finora mancata ci permette di pensare a cosa potrebbe essere il comunismo di lusso oggi e nell’immediato futuro. Lo psichedelico ci riporta alla questione delle finzioni generative poiché nella cultura psichedelica, dai Beatles ai rave, c’è sempre il sogno di un mondo governato da ritmi temporali molto diversi: “stay in bed, float upstream”… Più tempo per andare in barca, di nuovo!

Nei miei interventi mi sono concentrato molto sulla questione del tempo, e molto di ciò che è importante in quello che hai detto riguarda lo spazio. I complessi residenziali di Berlino, Park Hill, il Barbican – tutti questi appartengono a un momento di modernismo popolare la cui ambizione è oggi difficile da immaginare. L’instaurazione del realismo capitalista è dipesa dal rendere retrospettivamente impossibile proprio questa architettura modernista popolare e la visione che la sosteneva. In parte si tratta, ancora una volta, di una questione di libido: la strana bellezza fantascientifica di questi progetti abitativi smentisce l’idea che le iniziative di sinistra siano intrinsecamente tristi. Questi esempi dimostrano con forza l’idea che la bellezza e il piacere siano migliori quando vissuti nella condivisione. Ciò fa emergere un ulteriore punto importante, inerente all’idea di comunismo di lusso: la riabilitazione del concetto di pubblico.

Nella propaganda neoliberista, il pubblico è stato identificato con un deprimente statalismo (che è una delle ragioni per cui penso che sia un compito urgente distinguere tra pubblico e statale). Il trionfo del realismo capitalista è dipeso non solo da una denigrazione del pubblico, ma alla fine dalla negazione che qualcosa come il pubblico possa esistere davvero. Questa è stata l’intuizione alla base dell’affermazione della Thatcher secondo cui non esiste una cosa come la società: l’idea cioè che la “società” sia solo una finzione e che non abbia alcuna esistenza sostanziale. Solo “gli individui e le loro famiglie” esistono davvero. Ma il pubblico – e la relativa idea di bene pubblico – possono essere allo stesso tempo fittizi (nel senso che sono virtuali, non hanno esistenza empirica) e reali (poiché una volta postulati, influenzano l’azione e la produzione in tutti i modi). Park Hill, il Barbican, quei complessi residenziali a Berlino: sono tutti esempi dei modi in cui il concetto di pubblico potrebbe ispirare produzioni realmente tangibili. Questi spazi comunisti di lusso mostrano come la finzione positiva del pubblico possa contribuire a produrre un futuro che il capitalismo contemporaneo è incapace di generare.

Note:

  1. Il comunismo di lusso e il relativo slogan “lusso per tutti” non sono idee mie.
    “Lusso per tutti” era uno slogan del gruppo comunista libertario tedesco …Ums Ganze!, ed è stato importato nel Regno Unito da Shift Magazine. Il blog di tumblr sul comunismo di lusso che rese popolare il concetto era gestito da me e altre tre o quattro persone, alcune ma non tutte facenti parte di Plan C. Diverse parti del discorso su cui è stato basato questo capitolo sono state ispirate dai dibattiti sul comunismo di lusso che sono stati portati avanti a Plan C – ad alcune persone in Plan C piace l’idea e ad altri no. Alla popolarità del concetto hanno contribuito enormemente anche Novara Media e la loro richiesta di un comunismo di lusso pienamente automatizzato. Le idee di cui parlo qui sono il frutto delle discussioni con il mio amico Ian Childs. Si tratta di una nostra personale interpretazione dell’idea: se ascoltaste qualcun altro parlarne, probabilmente la descriverebbe in maniera abbastanza diversa.

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In copertina: Opera brutalista realizzata con i mattoncini Lego dall’artista berlinese Arndt Schlaudraff


Mark Fisher è stato un filosofo e critico culturale inglese. Ha scritto tra gli altri per il Guardian, il New Statesman e per il mensile The Wire, oltre ad aver tenuto per anni K-Punk, uno dei più seguiti blog di cultural theory in lingua inglese. Tra le opere più importanti in italiano Realismo Capitalista (Not), Spettri della mia vita (Minimum Fax) e The weird and the eeire. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo (Minimum Fax).

Judy Thorne è ricercatrice e docente all’università di Manchester. Si occupa di antropologia sociale e pensiero utopico. Il suo vasto campo d’interesse spazia dagli studi di genere all’analisi della crisi economica e climatica.