Recentemente di nuovo al cinema, il leggendario James Bond è fin dai primi racconti lo specchio della spericolata vita del suo creatore Ian Fleming.
“<<Be’,>> disse Leiter alzandosi <<allora andiamo a casa a dormire, così riposerai un po’ gli occhi. Credo ne avrai bisogno. Per la mira.>>”
Ian Fleming, I diamanti sono per sempre (1956)
Riproporre personaggi storici e storicamente determinati è difficile. Riprendere e rielaborare scritti di autori del passato è impresa ancor più ardua, specie se si tratta di adattarli a tempi diversi rispetto a quando vennero ideati.
In questo articolo mi occuperò di raccontare l’impresa dietro alla ricostruzione in chiave moderna del personaggio di Ian Fleming, James Bond, a partire dal 2006; ma prima un po’ di storia.
Ian Fleming (cugino di Christoper Lee divenuto famoso con l’interpretazione di Saruman ne Il Signore degli Anelli) nel corso della seconda guerra mondiale lavorò per il Servizio Informazioni della Marina britannica – esperienza che lo segnò – per poi dedicarsi al giornalismo e alla scrittura. Indisponente, enigmatico, patriottico, donnaiolo e alcolista. Solo alcuni degli aggettivi che descrivono Fleming, autore unico nel suo genere sia per la propria provenienza dallo spionaggio, sia per il suo schema di lavoro adottato nella scrittura seguito minuziosamente per ogni libro. Sei settimane di lavoro nei due mesi invernali che trascorreva in Giamaica: gennaio e marzo di ogni anno dedicava alla stesura dei propri libri 4 ore di lavoro giornaliere, scrivendo senza correzioni 2000 parole al giorno seguite da una settima settimana utile per correggere le bozze e riscrivere brevi passaggi.
Ma è proprio nel lungo periodo di lavoro e formazione sul campo che inizia forse a plasmarsi quel personaggio che poi divenne la figura letteraria di James Bond – se il carattere rispecchia in parte Fleming, il nome era stato “preso in prestito” da un ornitologo inglese – destinato a diventare un’icona del cinema per oltre 50 anni grazie a Albert “Cubby” Broccoli e Harry Saltzman, attenti esperti di cinema e pubblicità.
I romanzi di Fleming sono delle piccole perle storicamente determinate nella Guerra Fredda e nella Guerra occulta tra spie, eppure risultano essere senza tempo per il tanto pesante quanto indiretto contributo personale, intellettuale ed emotivo di Fleming: sotto alla forza bruta e alla sofisticazione delle macchinazioni da spia traspare il dramma umano che non conosce tempo e spazio; forse proprio questo il fattore che ha permesso alla serie di sopravvivere e rinnovarsi per così tanti anni.
Particolarmente interessante nei romanzi dell’inglese è la meticolosità delle descrizioni di luoghi, istituzioni e situazioni nei quali il personaggio di Bond si ritrova: la copertura del Servizio Segreto MI6 sotto la Universal Exports, l’attenta analisi del traffico internazionale di diamanti preziosi, la collaborazione della Corona inglese con la CIA americana… un universo parallelo e complesso dotato di regole e vita propria.
Ian Fleming era un eccentrico: era solito seguire uno schema molto preciso per la scrittura dei propri romanzi, intervallato dai vizi di “Bacco, Tabacco e Venere” consumati in abbondanza e abbondantemente presenti nel suo personaggio letterario.
L’inverno passato nella sua tenuta di Goldeneye in Giamaica gli era utile per portare al termine la bozza dei propri romanzi, che rivoluzionarono prima il genere letterario giallo e poliziesco e, successivamente, in modo indiretto, il cinema d’azione e spionaggio.
Ad eccezione dei primi scritti, utile palestra per Fleming, ciascuno di essi si distingue per essere una raccolta di esperienze personali e indirette, con grande attenzione ai dettagli e una buona capacità descrittiva: il privilegio di provenire da una famiglia dal solido patrimonio e il mestiere di “viaggiatore al servizio della Corona” permise all’inglese di presentare ai propri lettori paesaggi, luoghi e persone esotiche in un’epoca in cui il grande pubblico non era ancora stato abituato ai grandi viaggi e al turismo di massa; per questo motivo il lungo viaggio in Giappone di Si vive solo due volte, le avventure nel Nevada e nella Las Vegas di I diamanti sono per sempre o la fredda URSS e la bizantina Istanbul di Dalla Russia con amore rappresentarono per i lettori dell’epoca una forma di escapismo, ma anche una possibilità per scoprire e vivere realtà lontane dalla propria.
Dalla carta al grande schermo
Nel 1953 Casino Royale vide la prima stampa ed ebbe sin da subito un successo incredibile: il glamour, la violenza, i personaggi pittoreschi e i luoghi esotici catturarono il pubblico e, nel giro di pochi anni, anche l’attenzione di Harry Saltzman e Albert “Cubby” Broccoli due produttori cinematografici che, sotto il cappello della Everything or Nothing (EoN) productions proposero la trasposizione cinematografica di Dr. No, sesto romanzo di Fleming, nel 1962, lanciando la moda degli spy movies, rivoluzionando i film d’azione e portando alla ribalta l’allora sconosciuto attore scozzese Sean Connery (1930-2020) nei panni dell’agente segreto.
La carriera di Fleming (e di 007) fu tanto breve quanto prolifica; le avventure di 007 proseguirono per tema e viaggiando intorno al mondo con Vivi e lascia morire (1954), Moonraker (1955), I diamanti sono per sempre (1956), Dalla Russia con amore (1957), il Dottor No (1958), Goldfinger (1959), Thunderball (1961, primo screenplay per un film, scritto a sei mani con Kevin McClory e Jack Whittingham), La spia che mi ha amata (1962), Al Servizio Segreto di Sua Maestà (1963), Si vive solo due volte (1964), L’uomo dalla pistola d’oro (1965) e i racconti brevi delle raccolte Solo per i tuoi occhi (1960) e Octopussy & The Living Daylights (1966).
Dopo esser stato costretto a abbandonare antagonisti politici – come il KGB o la SMERSH per smorzare i toni in periodi molto tesi delle relazioni internazionali Fleming creò la SPECTRE, organizzazione occulta con agganci e interessi in giro per il globo senza nazione d’appartenenza; ed è proprio questa la vera età dell’oro per l’avventura narrativa di 007.
I piani del magnate Goldfinger di rapinare le riserve auree di Fort Knox, il piano di Hugo Drax di far schiantare il missile nucleare Moonraker su Londra o ancora i sempre più intricati piani di dominio internazionale di Ernst Stavro Blofeld e della sua organizzazione segreta. Accanto a queste avventure fantastiche Fleming inserisce racconti brevi dalla portata molto più limitata ma utili a delineare meglio i suoi personaggi principali e l’arena nella quale le sue vicende si svolgono; l’esperienza personale e il gusto per l’eccentrico si uniscono alla critica personale dell’autore: è davvero Bond a odiare lo stile di vita americano nel corso delle sue avventure in USA? Sono davvero gli agenti di servizio a Tokyo a dibattere sul destino decadente dell’impero britannico o sono rielaborazioni di conversazioni reali avute da Fleming con altri funzionari?
Dopo il grandissimo successo cinematografico del Dr. No, la EoN si buttò a capofitto nelle riprese di Dalla Russia con amore, il romanzo preferito di John F. Kennedy nonché l’ultima pellicola che si dice abbia visto il Presidente degli Stati Uniti prima dell’assassinio a Dallas nel 1963.
Le pellicole di 007 furono rivoluzionarie: la fotografia, i viaggi in luoghi esotici, la scelta di arruolare cantanti più o meno noti per la canzone dei titoli di testa dei film e attrici e attori poco conosciuti; prese così il via un format destinato a consolidarsi e a trasformarsi nel corso degli anni a venire.
Con la trasposizione cinematografica di Goldfinger, nel 1964, il successo di 007 raggiunse il suo apice sebbene, nello stesso anno, Ian Fleming morisse per un infarto a soli 54 anni; con la scomparsa dell’autore la serie prese una via sempre più irrealistica, tongue and cheek (specie con l’interpretazione di Roger Moore) e sconnessa dal personaggio del romanzo ma che permise al personaggio di avventurarsi in ambiti tematici a lui talvolta lontani e ottenendo la collaborazione di grandi artisti del tempo come gli A-Ha, i Duran Duran o Paul MacCartney: Roger Moore (1927-2017) con il proprio carisma trasformò il rude agente segreto in un supereroe senza poteri, un eroe buono e indistruttibile… che però inevitabilmente allontanava la serie dal suo tono serioso a favore di azione e umorismo adatto a tutta la famiglia attingendo sempre più marginalmente dal materiale originale: Moonraker, Paesaggio e morte (From a View to a Kill), Risiko, Vivi e lascia morire e Proprietà di una Signora fornirono ai produttori cinematografici il titolo e poc’altro, in un’epoca in cui 007 veniva “spedito nello spazio” unicamente per cavalcare l’onda di Guerre Stellari (1977).
Viene così meno l’antieroe vulnerabile, svanisce l’uomo dei vizi – così come lo champagne mescolato alle anfetamine – per un personaggio cartoonesco che si ritrova ad affrontare antagonisti altrettanto stereotipati… con buona pace della SMERSH, della SPECTRE e dei vari antagonisti letterari ben caratterizzati.
Fu solo con la breve parentesi di Timothy Dalton nel periodo 1987-1989 che la serie tornò sui propri binari grazie all’intensa interpretazione dell’attore shakespeariano e alla capacità di regista e sceneggiatori di elaborare un primo vero adattamento della figura di James Bond nel nuovo quadro internazionale di fine della Guerra Fredda. I produttori, tuttavia, stavano raschiando in fondo al barile del materiale originale (già nei periodi precedenti solo utilizzato marginalmente), adattando in chiave cinematografica The Living Daylights e La Rarità di Hildebrand, ultimi racconti di Fleming inserendoli in un contesto internazionale caratterizzato dalla recrudescenza dello scontro USA-URSS e dalla guerra al traffico internazionale di droga.
Seguirono gli anni Novanta scarsamente ispirati di Pierce Brosnan per arrivare a una vera rielaborazione del personaggio in chiave contemporanea con la trasposizione di Casino Royale nel 2006 con un nuovo attore: Daniel Craig.
Sul treno del rinnovamento
Attonito davanti le grandi parole in viola Bond si fermò accanto allo spartitraffico e attraversò la strada per guardare la grande insegna da un punto più favorevole. Ah, ecco cos’era. Un edificio gli aveva nascosto alcune lettere della pubblicità Shell. “SUMMER SHELL IS HERE”, diceva la scritta. Sorridendo fra sé, Bond salì in macchina e mise in moto. Poco prima, le grandi lettere viola, in parte occultate, avevano illuminato il cielo della sera con un messaggio molto diverso: HELL IS HERE – HELL IS HERE – HELL IS HERE.”
Ian Fleming, Moonraker (1955)
Il problema di adattare una reliquia del vecchio mondo come 007 era una vera impresa; Bond era in primo luogo legato alla guerra di spie, era un’icona superoistica che aveva bisogno di ritornare a essere umanizzata e adattata ai tempi ormai mutati: l’esperimento Casino Royale (2006) fu un successo totale grazie all’interpretazione magistrale di Craig, Mads Mikklesen e Eva Green – che interpreta la femme fatale Vesper Lynd ispirata a una tragica storia d’amore vissuta da Ian Fleming – che erano riusciti a raccontare una storia vecchia in un contesto di terrorismo internazionale, tecnologia e spionaggio ben più adatte al nuovo millennio.
Casino Royale premeva il bottone restart, raccontando le vicende di James Bond come se avesse preso servizio presso il Military Intelligence, sezione 6 (MI6) nel 2000, un mondo completamente diverso per il personaggio e che avrebbe richiesto grandi capacità di rinnovamento e adattamento da parte di produttori e autori. Era giusto che i produttori partissero dalle basi con questa ricostruzione della serie, indispensabile affinché il personaggio non diventasse la parodia di sé stesso, come fu per buona parte degli anni Novanta.
Abbandonando in toto la formula classica emulata da molti altri brand (tra cui il satirico Austin Powers, simpatica e esagerata parodia della serie) era tempo per 007 di ritornare a imparare, sfruttando tecniche cinematografiche e narrative di film recenti come quelli della saga di Jason Bourne e salendo sul treno del reboot (ovvero raccontare da capo una storia già vista utilizzando nuovi espedienti narrativi) preso da tanti personaggi storici del cinema, primo fra tutti Batman con la splendida trilogia di Christopher Nolan.
I registi dell’era Craig hanno attinto pienamente al materiale originale, in particolar modo a Casino Royale e alle storie maggiormente emotive e piene di sviluppo per il personaggio; Skyfall (2012) oltre a celebrare i cinquant’anni del personaggio cinematografico strizza l’occhiolino ai fan storici e allo spettatore casuale offrendo una trama originale, avvincente, emotiva e colma di spunti riflessione su moltissime tematiche contemporanee: il tempo, lo scontro tra generazioni, la tecnologia che cambia.
Dopo numerosi annullamenti dovuti alla pandemia lo 007 di Craig è tornato per raccontare la sua ultima storia con una trama nuovamente adattata al nostro tempo: riprendendo il materiale originale -in particolar modo un oculato mix dei romanzi Dr. No, Al Servizio Segreto di sua Maestà e Si vive solo due volte– il regista Cary Joji Fukunaga propone in No Time to Die (2020) una pellicola sui generis nella quale la ricerca di uno scienziato rapito si unisce alle vicende emotive di Bond e di Madeleine Swann – reinterpretazione del personaggio letterario della Contessa Teresa di Vincenzo – e ai confini sempre più labili tra bene e male, alleati e nemici, verità e menzogna.
I pericoli di bioterrorismo, la società della sorveglianza, l’analogico contro il digitale: non tutte le cinque avventure di Craig hanno il medesimo impatto narrativo o artistico ma, nonostante ciò, hanno contribuito a costruire un universo organico, credibile e, soprattutto attuale spingendosi verso aree tematiche e scelte narrative nelle quali i predecessori non avevano mai osato avventurarsi. Ordine dal caos è la frase che meglio descrive questa lunga saga; sperimentare una formula di successo, fallire, essere in balia degli anni per poi rinascere attingendo dalla materia prima -Fleming letterario- e appoggiandosi ai “nipotini”, ovvero le tecniche cinematografiche e narrative di tutti gli eredi delle spy stories che da Dr. No hanno definitivamente cambiato cinema e romanzi d’azione.
“(…) il generale G allunga il braccio per guardare la foto da lontano. Un tipo deciso, autoritario, spietato: questo vede nell’immagine. Non gli importa quali altre qualità possa avere. (…) <<Sembra un tipo pericoloso>> dice con aria tetra. <<Il suo fascicolo lo conferma. Ve ne leggerò qualche passo. Poi decideremo. Si sta facendo tardi>>. Ritorna alla prima pagina e comincia a sciorinare le parti che gli interessano. <<Nome: James. statura m 1,83¸ peso: 76 kg; corporatura: snella; occhi azzurri, capelli neri; cicatrici su guancia destra e spalla sinistra; segni di chirurgia plastica sul dorso della mano destra; eccellenti doti atletiche; tiratore, pugile e lanciatore di coltelli esperto; non usa travestimenti. Lingue: francese e tedesco.
Forte fumatore; vizi: alcol, ma senza eccesso, e donne non risulta corruttibile. (…) Conclusione. Il soggetto è un pericoloso professionista nel campo del terrorismo e dello spionaggio. Dal 1938 lavora nel servizio segreto britannico e attualmente è denominato in tale servizio con il numero segreto 007.>>”
Ian Fleming, Dalla Russia con amore (1957)
Hai letto: 007: ordine dal caos