“30” è il nuovo disco della cantante britannica Adele, un lavoro che parla il linguaggio dei millennials per raccontarne gioie e difficoltà.
Quando tutti i tuoi precedenti album rientrano, a furor sia di pubblico che di critica, tra le migliori uscite discografiche dei rispettivi anni, di certo ogni tuo nuovo lavoro è atteso spasmodicamente. Adele è l’esempio perfetto. Dopo sei anni, un figlio, un divorzio, una pandemia e il superamento dell’agognato quanto spaventoso traguardo dei 30 anni, alla fine è arrivato. E non ha deluso le aspettative. Il cambiamento si vede fin da subito: la copertina del disco, per la prima volta, è a colori. Già questo dovrebbe farci capire che quest’album sarà diverso dai precedenti.
Infatti Adele ci stupisce, proponendoci 12 tracce decisamente variegate, per generi e stili. Le melodie sono diventate ancora più articolate, attingono sia dal repertorio più classico che Adele ormai padroneggia alla perfezione, sia da nuove contaminazioni, riscoprendo e sfruttando influenze blues e jazz che rendono il quarto lavoro in studio della cantante inglese il più maturo e completo. Il merito è anche dell’età, certamente, il titolo stesso ce lo suggerisce. 30 è decisamente il disco che pone fine ai vent’anni, biologici, metaforici, artistici, per spalancare le porte ad una nuova età matura e, perché no, da affrontare con lo spirito ironico e leggero di una nuova consapevolezza.

L’album non è più pervaso da quel senso di tristezza senza via di uscita di cui erano pieni i precedenti; in questo lavoro il main theme è l’essere Adele, artista certo, ma soprattutto donna, con un vissuto e una personalità complessi, e la lotta per essere se stessa in una realtà altrettanto complessa. Adele ha imparato a conoscersi, ad apprezzarsi, ha attraversato delle esperienze che in qualche modo l’hanno segnata. Cosa più importante, da tutto questo ha imparato qualcosa, senza mai perdere di vista la persona che è. Nell’intervista realizzata con Zane Lowe per Apple Music, Adele si confronta con il percorso creativo di scrittura dell’album, concepito con una linea temporale ben precisa. La decisione di chiedere a Spotify di togliere la possibilità di ascoltare l’album con la riproduzione casuale ne è la dimostrazione: il disco va ascoltato in sequenza, tutto d’un fiato, per apprezzare al meglio la scrittura e le emozioni che Adele intende trasmetterci.
Strangers by nature è la prima, importante presa di consapevolezza, che si trasforma nella richiesta di essere maneggiati con grazia in Easy on me. My little love è Adele in una delle sue vesti più vulnerabili, in un’aperta confessione a suo figlio Angelo. Poi, Adele ci sorprende: Cry your heart out, Oh my God e Can I get it hanno ritmo e corpo inusuale a ciò a cui la sua precedente discografia ci ha abituato, ma sono inserimenti perfetti che portano alla seconda parte dell’album. I drink wine è la resa, che porta a resistere in Hold on, che alla fine si scioglie nei due brani più sinceri dell’album. To be loved e Love is a game rischiano di strappare il cuore a metà, per bellezza e, soprattutto, intensità. Perchè con Adele più che a tutto il contorno si deve prestare attenzione al modo in cui canta ogni singolo pezzo e al modo in cui utilizza il proprio strumento, la voce: sempre misurata e sempre padrona della propria vocalità, capace di modularla in perfetto accordo con il sentimento che vuole esprimere.
E’ un album complesso, profondo, non per tutti, e Adele lo sa bene. “If everyone’s making music for the tik tok, who’s making music for my generation? I’ll do that job gladly. The 30 and 40 years old are all committing to themselves and doing therapy, that’s my vibe, cause I was doing that too.” [“Se tuttə stanno facendo musica per i tik tok, chi sta facendo musica per la mia generazione? Sono grata di svolgere questo compito. I 30 e i 40 anni si stanno impegnando tutti con se stessi e stanno facendo terapia, questa è la mia atmosfera, perché lo stavo facendo anch’io.”] Adele non ci lascia soli sul nostro divano, ma ci regala una colonna sonora perfetta. Se proprio vogliamo singhiozzare un po’ quando la giornata è troppo difficile, almeno siamo in buona compagnia.
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