Una recensione di “Brutta – Storia di un corpo come tanti” di Giulia Blasi: breve ma intenso manuale di emancipazione dai canoni di bellezza e dogmi imposti dalla società patriarcale.
“Questa è la storia del mio corpo”: un incipit chiaro, diretto, senza mezzi termini, è così che la penna di Giulia Blasi dà inizio ad una nuova narrazione, la narrazione della sua storia. E lo fa in maniera ironica, pungente, vera. Prima ancora l’autrice cita due brani musicali, tanto noti quanto diversi, Questo Corpo de La Rappresentante di Lista e Brutta di Alessandro Canino.
L’autrice di Manuale per Ragazze Rivoluzionarie e Rivoluzione Z. Diventare adulti migliori con il femminismo ci accompagna, attraverso il racconto del rapporto con il proprio corpo, nelle dinamiche di una società con esigenze considerate imprescindibili nei confronti delle donne.
Sei nata donna. Ma che tu appartenga alla Generazione X, alla Generazione Y, alla Generazione Z o a qualsiasi altra generazione non sai mai, o quasi, se hai scelto correttamente il tuo posto nel mondo, il corpo giusto o la risposta giusta. Leggere Brutta. Storia di un corpo come tanti può farti sentire contemporaneamente sollevata, triste, divertita, arrabbiata. Nel suo ultimo libro Giulia Blasi si racconta attraverso le fasi del suo essere femmina, donna, femminista. Racconta del suo corpo, della percezione di esso, della convivenza a volte difficile e non sempre pacifica.
L’autrice parte dal momento della nascita, della scoperta che stava venendo al mondo una femmina, quando ancora nessuna app per smartphone ti raccontava tutte le fasi “ortofrutticole” del nascituro e il sesso deteneva ancora il suo fascino al primo vagito. Alla vista di una femmina quel fascino si trasformava, in maniera estemporanea, nell’analisi minuziosa dei caratteri estetici della nuova arrivata.
Accadeva ieri, accade oggi e vorremmo che smettesse di accadere: se nasci di sesso femminile vieni al mondo già con un decalogo di dogmi da interiorizzare e performare in stile di vita. Un paradigma di quello che è bene e non è bene fare in questo mondo perché donna in quanto tale.
Prima regola: essere bella!
Blasi incentra la narrazione sull’obbligo di essere bella, farsi vedere bella dal resto del mondo, non farsi trovare impreparate davanti alle aspettative di una società che esige che tu sia bella. Perché le donne non possono permettersi il lusso di essere brutte, o addirittura, semplicemente, di essere meno belle. Il messaggio di Giulia Blasi è potente poiché, come sottolineato più volte dalla stessa autrice, lottiamo per rivendicare quotidianamente il diritto ad essere libere, emancipate, sessualmente disinibite, ma spesso poche di noi rivendicano il diritto a non dover essere per forza truccate, acconciate, belle.
Perché per occupare spazio nel mondo ci hanno convinte che dobbiamo obbligatoriamente possedere il passaporto della bellezza. Blasi decide di parlare dei corpi delle donne attraverso il proprio corpo ma utilizzando un’altra prospettiva, quella ironica, che apparentemente ti strappa una risata, ma che in realtà ti fa riflettere e molto spesso infuriare.

Su una riflessione è bene soffermarsi: la necessità di liberarsi dall’idea che il percorso di una donna debba avere come fine ultimo la pacificazione con la propria immagine. Una vera e propria forzatura figlia di un universo in cui l’estetica viene prima dell’essenza stessa della persona.
L’autrice fa centro con estrema precisione su quella che è l’insidiosa richiesta sociale nei confronti delle donne, perché il corpo bello, quello giusto, conforme, viene osservato, analizzato, giudicato e tutto avviene azzerando la persona, che dietro al suo corpo scompare. La dinamica, in senso negativo, è la medesima per i corpi considerati socialmente non conformi.
Ma Blasi ci tiene a precisare che spesso le “belle” devono faticare per dimostrare di essere anche brave, intelligenti, capaci, poiché nel pensiero comune spesso le due cose si escludono a vicenda, quindi, forse la vita da “bella” può sembrare apparentemente più facile, ma non lo è proprio del tutto.
Consapevolezza
Capitolo dopo capitolo questo libro potrebbe raccontare la storia di ogni donna, i piccoli drammi che ognuna ha vissuto da bambina, da adolescente o da adulta, il tutto con leggerezza ed ironia nello stile, ma mai nel messaggio che invece risulta forte, chiaro, profondo.
E nella società odierna, estremamente amplificata dalla presenza dei social network, molte cose per le ragazze forse sono peggiorate in quanto costrette a confrontarsi costantemente con la loro immagine, con i selfie, con le immagini dei corpi delle altre donne e, quando sei giovane e stai cercando il tuo posto nel mondo, l’impossibilità di rispondere a certi canoni può risultare molto invasiva.
A loro vantaggio però, rispetto alle adolescenti delle generazioni precedenti, le ragazze oggi possono contare su nuovi punti di riferimento come il concetto di bodyshaming che sta cercando di diffondere, anche se con estrema difficoltà, il messaggio secondo il quale non è appropriato e normale parlare dei corpi e giudicarli e, su messaggi sempre più diffusi di body positivity, movimento che si pone lo scopo di diffondere l’accettazione dei corpi in ogni singola sfumatura intesa come riconoscimento del sé, come sé “unico”.
Brutta. Storia di un corpo come tanti è la storia del corpo di una donna, tra le più autorevoli in tema di femminismo, contro l’imperativo patriarcale dell’obbligo alla bellezza. È empatia nei confronti del corpo di tante altre donne attraverso una liberazione fatta di risate e ruggiti.
È un messaggio di pace nel pieno della continua battaglia che le donne affrontano quotidianamente con la propria immagine, con le proprie forme, con l’interiorizzazione di regole non scritte che le investono dal primo fiocco rosa appuntato sulla porta di casa che urla al mondo “è nata una femmina che non ci deluderà!”.
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