Una recensione di Anime galleggianti, il romanzo ipermoderno di Vasco Brondi e Massimo Zamboni.
Non ci sono più i CCCP cantava Vasco Brondi ne La gigantesca scritta Coop (Le luci della centrale elettrica, 2007). Forse proprio per questa ragione Massimo Zamboni, storico chitarrista dei CCCP (e poi dei CSI), stringe amicizia con il cantautore ferrarese: per proporgli un assurdo journey fluviale che si risolva in un romanzo, che sintetizzi le poetiche di due tra i progetti musicali emiliani più conosciuti. Così nasce Anime galleggianti Dalla pianura al mare tagliando per i campi (La Nave di Teseo, 2016) e traghetta i nostri due poeti maledetti verso l’imbuto strozzato che è il genere del romanzo ipermoderno (e la foce del Po).
Io e te (e il fotografo)
Zamboni nasce nel ’57 e, quando compie vent’anni, Brondi non è ancora nato. Il racconto di questa breve navigazione procede su due binari: uno ricompone le impressioni di un’adolescenza vissuta negli anni ’70, tra risse da bar e sogni socialisti, l’altro negli anni 2000, tra noia ed ecomostri di provincia.
Quattro giorni trascorsi su un canale navigabile da Mantova a Porto Levante sono la cornice e il pretesto per una dilatazione temporale. Uno spazio disteso e acquitrinoso che si apre alle riflessioni di due uomini e alle loro sensibilità uniche.
Gli estremi di un’epoca, l’andata e il ritorno (nei capitoli Acqua sorgiva e Autunno sul Tartaro) sono incarnati da uno Zamboni testimone dell’industrializzazione e della guerra fredda e da un Brondi cantautore indie dell’era post-industriale e digitale. Tra un capitolo e l’altro, gli scatti di Piergiorgio Casotti: disabitati scorci di un paesaggio fintamente incontaminato.
Dove non succede niente
La provincia è sempre stata uno dei topoi della scrittura brondiana: è un luogo diffuso, un luogo dell’anima. Il Tartaro-Canalbianco è un corso d’acqua che ha subito massicci interventi artificiali. Il territorio che attraversa, tra l’Emilia e il Veneto (il Polesine), è un’Amazzonia fantasma, una palude fangosa di rifiuti in plastica, tutto sembra farci pensare ad una carcassa svuotata. Allevamenti di molluschi, capannoni industriali, ex basi missilistiche Nato, un freddo sistema di chiuse e porti fluviali, baracche di pescatori slavi e tende Quechua di turisti tedeschi. La crisi economica ha messo in ginocchio queste comunità lagunari così avvezze alle inondazioni, dove crollare e ricostruire sono una ricorrenza obbligata.
Lo sguardo contemplativo dell’artista si posa su questa decadenza, ringalluzzita dagli esercenti emigrati dalla Cina, da alcune amministrazioni comunali illuminate, ma comunque luogo di solitudine e marginalizzazone: la Provincia italiana.
“Penso alla fortuna che ho avuto di crescere in un posto in cui mi annoiavo moltissimo, in cui capisci che se vuoi che succeda qualcosa devi farlo tu.”
Appunti sul genere letterario
Un romanzo a quattro mani, un reportage, un diario di viaggio, un libro fotografico. Questo piccolo oggetto letterario, così spontaneamente ambiguo, partecipa perfettamente della natura ibridata del “romanzo” contemporaneo. Realistico, evocativo, velatamente polemico; una scrittura lieve ma densa, che si regge su una struttura di aneddoti, ricordi e citazioni. In questo senso, Anime galleggianti è un perfetto esempio di romanzo ipermoderno.
A partire dagli anni ’80 è il romanzo postmodernista e cannibale (tra le grandi firme, Umberto Eco e Aldo Nove) a spopolare sugli scaffali delle librerie: cosa cambia nella narrativa degli ultimi vent’anni? Il pubblico dei lettori – che va sempre più restringendosi – inizia a manifestare insofferenza verso la rappresentazione relativizzata dell’esistente. Il ritornello per cui il mondo non esiste, esiste solo ciò che di esso posso raccontare, è diventato troppo disorientante. Antropologicamente parlando, la mia parola plasma la realtà, viviamo il desolato vuoto che è il “dopo” di qualcosa, mentre siamo martellati da rèclame pubblicitarie. Sicuramente, dopo la crisi globale del 2008, la produzione di senso che la letteratura attua nella società, sentiva urgente il bisogno di evolvere.
Fame di realtà
La narrativa ipermoderna non vive più della mimesi di un reale già scritto e descritto da parte dei media. Molte nuove narrazioni sono reali e basta. Il reportage corredato da fotografie ne è un esempio da manuale. Lo spopolare di libri che raccontano in prima persona cronache di viaggi realmente compiuti (Terzani su tutti), prese di parola personali da parte di giornalisti, influencer, politici (da Saviano, Gomorra a Salvini, Secondo Matteo), la postura autobiografica e autoreferenziale, sono la nuova facies dell’immortale calderone del “romanzo” negli anni ’20.
I fan de Le Luci della Centrale Elettrica, ma soprattutto dei CCCP, cosa dovrebbero aspettarsi dall’ultimo romanzo di un astro del punk italiano? Cosa avrà ancora da dire? Gli autori del diario di viaggio rivendicano con disincanto il loro posizionamento verso la realtà, ben consci del fatto che quasi tutto sia già stato detto. In Anime galleggianti è l’io artistico di due maestri della musica ad impugnare lo stile realistico ipermoderno che cerca di strappare brandelli di verità alla proliferazione bulimica dei discorsi e delle immagini.
Sicuramente intravediamo l’influenza del fenomeno social che, negli ultimi vent’anni, ha investito l’utente medio (generalmente un millenial) dell’autorità di espressione che un tempo era appannaggio esclusivo dell’estinta classe degli intellettuali.
Malati di citazionismo
Le pagine del libro sono pregne delle atmosfere descritte da un antico Gianni Celati, autore emiliano di Verso la foce (1989). Il format romanzesco di Anime galleggianti ha un illustre predecessore nelle peregrinazioni fluviali dello scrittore, che si accompagnava spesso e volentieri al celebre fotografo Luigi Ghirri. Lo stesso Ghirri che non era estraneo all’universo musicale dei CCCP, di cui curò le copertine di alcuni cd e che ritrasse anche Zamboni. Dunque, ci troviamo di fronte ad un orgoglioso passaggio di testimone che esibisce comunque la sua singolarità, scevra da scimmiottamenti o parodizzazioni.
I due antenati della coppia Brondi-Zamboni fondano un immaginario, un’idea di paesaggio italiano intimista che fa da guida ai nostri protagonisti. I protagonisti del “dopo”, del tramonto della grande stagione, della crisi d’identità della letteratura contemporanea. Si aggirano senza cercare nulla e trovando un sacco di cose a casaccio. Nella singolare bibliografia dell’opera, figurano bagagli come Omero e Dante, insieme a Mark Twain e Werner Herzog.
Questo forse il tratto più tipicamente postmodernista che il libro parzialmente conserva e che attirerà ancora i lettori più affezionati al vecchio punk italiano: Brondi e Zamboni sono “nani saliti sulle spalle di giganti”. Nani che però sanno pacatamente emanciparsi.
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