Fantascienza e sessualità weird in “High Life”

High Life racconta la storia di un’improbabile esperimento scientifico in cui sesso e violenza mettono a dura prova i prigionieri spaziali.

Pauldavid Ligorio

Come si comportano dei criminali su una navicella spaziale spedita ad anni luce dalla terra per studiare un buco nero? Il protagonista della vicenda è Monte (Robert Pattinson), un uomo dal destino ormai scritto, lanciato in una missione suicida. I suoi compagni d’equipaggio sono ex carcerati sulla terra, la feccia dell’umanità, pedine sacrificabili nel gioco del progresso sfrenato.

A bordo tutto passa sotto il controllo della dottoressa Dibs (Alessandra Korompay), incaricata di sorvegliare e studiare il comportamento dei membri della spedizione. In medias res il film ci mostra una situazione ai limiti del collasso in cui Monte deve provvedere alla piccola Willow, nata all’interno degli angusti corridoi della nave. Diversi flashback ci riportano alle vicende che han preceduto la solitudine di Monte.

Fanta-sessualità

High Life è un film dalla scientificità paradossale e grottesca. Lo spazio è una discarica per cadaveri e gli oggetti che lo popolano sono inerti, privi di movimento e in aggiunta sessualizzati. Basti pensare al buco nero: per quanto decisamente simile al celebre Gargantua di Interstellar (Christopher Nolan, 2014) non è un oggetto del desiderio, una speranza o un mezzo per la salvezza, al contrario, è una macchina di morte ineluttabile, un vicolo cieco. L’oggetto in questione non è la porta che conduce a una risposta, alla possibilità di cambiare la storia, ma a una dolorosa e orgasmica morte. L’astronave stessa, con la sua forma a parallelepipedo, assomiglia più a un container alla deriva piuttosto che a un prodigio tecnologico.

Le cavie da laboratorio della regista francese sono soggetti dalla psiche al collasso, repressi e instabili, completamente assoggettati al potere della dottoressa. Come una sciamana della tecnica quest’ultima la vediamo abusare dei suoi ‘pazienti’ con il fine di creare la vita artificialmente, raccogliendo sperma e inseminando gli ovuli delle giovani ragazze della ciurma. Nei flashback a cui si accennava, il germe della violenza intestina è più che mai sviluppato e si assiste al suo scatenarsi quando un giovane tenta di stuprare una delle ragazze e viene brutalmente sgozzato. Un sacrificio necessario per ristabilire l’ordine e l’assoggetamento dei prigionieri.

Un pizzico di Weirdness

Gli esiti paradossali del film sono intenzionali e manifesti fin da subito. Come ben nota Henri De Corinth “il titolo del film, High Life, è pertanto ironico: l’espressione in inglese è il corrispettivo italiano de la dolce vita” (Lo Specchio Scuro, 2018), ma di dolce, alto e ammirabile nella condizione dei personaggi non c’è proprio niente.

Si ha la costante sensazione che le vicende narrate siano distorte e insieme caratterizzate da una sorta di orrenda familiarità. Entra in campo l’ormai canonico concetto di weird ideato da Mark Fisher, cioé il termine inglese traducile come ‘strano’ che indica “ciò che è fuori posto” (Fisher, 2019). In particolare, è “l’irruzione in questo mondo di qualcosa che proviene dall’esterno a fare da marcatore del Weird” (Fisher, 2019). Il film è in costante tensione tra un interno ambiguo e un esterno mortifero: la nave e il buco nero, l’individuo e il gruppo, l’ovulo e lo sperma. La sessualità è dunque un pericolo latente, un orrore sopito, che non dev’essere risvegliato, ma talmente represso da scatenarsi in violenza e abuso.

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