In diverse città italiane si assiste alla sistematica repressione nei confronti deə senzatetto da parte della mala-politica. Unico fine: allontanare e gentrificare.
In un strada come altre di Torino è iconico, tra tutte le scritte murali, un graffito: “chi siamo quando nessuno ci guarda?”. E in quelle stesse strade, come in qualunque altra di ogni città, ci sono coloro che non vengono proprio guardati. O meglio, guardati con occhi ciechi. Detti invisibili, clochard, homeless, senzatetto.
A domandarsi come si finisca senzatetto, un operatore o un volontario impegnato in opere di sussistenza per queste persone risponderebbe in migliaia di modi. C’è chi fugge da violenze domestiche, chi perde il posto di lavoro, chi non ha il permesso di soggiorno, chi è tossicodipendente e chi ha malattie psichiatriche. In generale le motivazioni sono eterogenee. Ma lo sguardo non si esaurisce lì: ognunə ha problemi, passioni, cose che non gli piacciono o che gli vanno a genio, esigenze alimentari, prospettive per il futuro. Persone uniche, fatte della stessa poliedricità di tuttə.
Dall’altra parte ci sono le risposte stereotipate, i clichè di sempre: è ovvio che molti vogliono vivere in quel modo per scelta, sono senza tetto per inerzia (vedasi anche: accidia, tra i sette peccati capitali), sono così perché hanno semplicemente avuto sfortuna, se rifiutano il panino al prosciutto offerto come elemosina non hanno veramente fame. E, conformemente a questo, le amministrazioni locali, i sindaci e i prefetti, danno risposte altrettanto ottuse.
Durante l’inverno, periodo in cui le morti a causa dell’assideramento sono consistenti nella categoria dei senzatetto, la stampa e la politica assumono un comportamento patetico e deresponsabilizzante. Da una parte incolpando il gelo killer, un famoso assassino ambientale che uccide per sport, dall’altra incolpando gli stessi senzatetto, perché non vogliono proprio accettare i servizi assistenziali (spesso peggiori della strada stessa) e che devono quindi essere persuasi a farlo, ricorrendo anche al TSO se necessario. Ma per il resto dell’anno i barboni rimangono quello che sono: accattoni o persone che sporcano, che occupano spazio pubblico prezioso, indecorosi per la vita pubblica e per il patrimonio turistico.
Dello scorso anno si ricorda a Torino il tentativo di togliere i cani ai senzatetto del centro perché, secondo il comandante dei vigili urbani, la vista di un bel cucciolotto è molto persuasiva per richiedere elemosina, a tal punto da essere ritenuta una intollerabile forma di accattonaggio: “Il centro per loro è un bancomat”. Secondo l’ex-sindaca Appendino e le forze dell’ordine, gli homeless, a quanto pare, sarebbero pericolosamente vicini ad un furto degno di Ocean’s Eleven, ai danni delle banche, delle borse dello stato, dei cittadini. Del 2022 invece il caso della stazione Termini a Roma: acqua ghiacciata versata sulle pareti per impedire di far dormire chiunque, o il divieto alle onlus di fare elemosina e di offrire da mangiare alle persone senzatetto. L’operazione sarebbe in questo caso la difesa degli spazi commerciali dalla minaccia dei clochard.
Le istituzioni insistono con una comunicazione e delle politiche illogiche nei confronti degli homeless e lo scopo di queste narrazioni schizofreniche afferisce ad una strumentalizzazione politica. Nel saggio La colpa di non avere un tetto, Daniela Leonardi evidenzia infatti lo svincolarsi delle amministrazioni nazionali e locali dalle proprie responsabilità rispetto al fornire alle persone un servizio pubblico completo, incolpandole della loro stessa condizione, e la repressione e l’allontanamento che fanno leva sulla paura del diverso, per giustificare politiche anti migratorie e razziste. Così come il consolidare politiche gentrificatrici, il rivalutare in senso commerciale intere aree pubbliche, e quindi allontanare tutti quelli che non si conformano al decoro pubblico.
Seguendo le parole di Leonardi, lo strumento per mettere in riga i senzatetto è ad oggi la DASPO urbana introdotta dall’ex ministro degli interni Minniti. Questa legge infatti, nata per estromettere gli ultras violenti dalle manifestazioni sportive, viene estesa a tutti quei soggetti che ledono la vivibilità, appunto il decoro, e quindi anche qualsiasi spazio che potrebbe essere sottoposto ad una riqualificazione. Quest’ultimo termine, “riqualificare”, è ultimamente sinonimo di spazio commerciale e gli sporchi barboni non sono ammessi a causa del loro essere marginali : “Non politiche e dispositivi che disciplinano comportamenti e reati, bensì esistenze. Le persone in condizione di grave emarginalizzazione vengono criminalizzate per il semplice fatto di esistere, e di occupare lo spazio pubblico con i loro corpi”.
È un iter quotidiano per un sistema capitalistico come il nostro dare per scontato che, per il benessere di molti, numerose altre comunità debbano soffrire, e chi si oppone o semplicemente non ha altre opzioni se non quella di dormire in uno spazio pubblico, venga allontanato. Basti pensare alla guerra condotta da molte giunte comunali contro la “mala movida”, cioè un gruppo di persone immenso, che vive la città di notte nelle strade, alle restrizioni imposte ai minimarket, gestiti perlopiù da immigrati, perché vendono alcolici. In risposta non vengono promossi spazi di aggregazione e luoghi dove esprimere la propria esistenza. Allontanare e criminalizzare, anziché andare alla ragion d’essere delle disparità sociali e delle disuguaglianze.
Oppure, a livello nazionale, esultare in parlamento per l’affossamento di una proposta di legge contro l’omotransfobia (ddl zan), quando tra le motivazioni per cui si diventa senzatetto si annoverano cause transfobiche e omofobiche. Sebbene in Italia non esistano studi in grado di analizzare il fenomeno, e i pochi dati raccolti siano sottostimati, è uscita una ricerca nel maggio del 2020 dalla European Agency for Fundamental Rights sulla condizione delle persone Lgbtqia+ in Europa. Alla domanda posta a un campione di diecimila individui in Italia, se avessero mai incontrato difficoltà di carattere abitativo, circa il 50% delle persone trans ha dato risposta affermativa. Le persone Lgbtq+ sono infatti più sensibili ad essere cacciate di casa per la propria identità di genere o il proprio orientamento sessuale, sono discriminate nei posti di lavoro e di conseguenza incontrano difficoltà anche nel trovarlo. La situazione non cambierà finché le istituzioni non considereranno la transfobia come una delle cause strutturali della povertà, oltre che la principale causa di morte delle persone trans.
Riprendendo sempre in mano il bookblock di Leopardi, contrastare veramente la povertà non significa fare guerra ai poveri, ma andare a prevenire e disinnescare i meccanismi che portano all’essere senzatetto. Prevenire ad esempio gli sfratti, aprire sportelli di aiuto per le persone discriminate nel ricevere un luogo abitativo, garantire il diritto alla salute e di cittadinanza a tuttə. Aprire progetti di free housing, ribaltando la visione della casa come un lusso da meritarsi, ma vedendo in essa il punto di partenza per l’aiuto alle persone senzatetto. Dare spazi e una voce, senza farsi troppe domande.
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