Christopher Rudd, nella sua ultima opera Touchè, reinterpreta in chiave contemporanea gli stilemi della danza classica, portando in scena il sesso e l’amore gay.
Si è rinnovato a fine gennaio a Roma l’appuntamento con Les Etoiles, evento annuale che ha visto esibirsi stelle danzanti provenienti da tutto il mondo. Dopo un’attesa durata due anni, la manifestazione è ripartita con il Gala della Gioia, concepito per raccontare in danza la fine di uno dei periodi più bui dei nostri tempi. Tradizionali momenti di virtuosismo sono stati affiancati da lavori di sofisticata modernità ad opera di celebri coreografi del nostro tempo.
Grande attesa di questa edizione è stata riservata alla prima europea di Touché, opera firmata da Christopher Rudd, ballerino e coreografo giamaicano che utilizza da sempre la sua danza per parlare di questioni sociali rilevanti. Nel 2015 Rudd aveva dato vita alla sua compagnia, la RudduR Dance, proprio con l’obiettivo di portare in scena opere dall’alto valore artistico capaci di lanciare messaggi al mondo attraverso l’arte coreutica. Touchè, passo a due al maschile, ha portato in scena con rara sensibilità la celebrazione dell’amore totale, indiscriminato, che non fa distinzioni.

L’opera aveva già debuttato al gala autunnale dell’American Ballet Theatre di New York, con repliche nel corso delle Pride Nights della stessa compagnia. Una coreografia creata in una bolla, nel corso del primo lockdown, per mostrare che l’amore fuori dalle convenzioni imposte e per questo spesso censurato, merita, allo stesso modo delle forme più comunemente “accettate”, totale dignità. Durante le prove Touchè ha visto la presenza – per la prima volta nella storia della danza – di un “intimacy director”: un professionista che nel mondo del cinema coordina con il regista – e che in questo caso ha coordinato con il coreografo – gli interpreti e la loro espressione più intima al fine di tutelarne l’aspetto scenico, data la presenza di un bacio e di scene di sesso simulato tra uomini, così da renderne la visione accessibile a tutti.
Touchè porta in scena un viaggio interiore: dal momento dell’incontro con la propria omosessualità, il superamento delle difficoltà, l’accettazione di se stessi e finalmente la gioia di potersi innamorare liberamente. È un balletto che vuole superare le divisioni alimentate dagli stereotipi e dalle inaccettabili ferite provocate dall’odio omofobo; è un nuovo corso per la compagnia di ballo americana, sempre più sensibile nei confronti di tutte le espressioni della cultura inclusiva.
Emozionato per la nuova creazione si era subito detto uno dei due interpreti, Calvin Royal III, principal dell’American Ballet Theatre che, secondo quanto dichiarato, mai avrebbe immaginato di interpretare un personaggio così vicino alla sua vita, alla sua storia, alla sua esperienza. Lo stesso Calvin Royal III aveva preso parte alla creazione di Touchè nella bolla anti-Covid dove alcuni danzatori dell’ABT si erano ritirati: la situazione ideale per dar vita a una coreografia così intima.

Un’opera che si inserisce in un dibattito ancora tristemente irrisolto, soprattutto nel nostro paese. Daniele Cipriani, produttore e direttore artistico di Les Etoiles ha fortemente voluto la partecipazione di Christopher Rudd alla kermesse pensando all’importanza del messaggio che Touchè sarebbe stata in grado di trainare; ancor di più a seguito della mancata approvazione del DDL Zan e della successiva reazione da stadio, alla quale purtroppo siamo statə costrettə ad assistere. Il coreografo ha accolto la proposta con entusiasmo esprimendo addirittura il desiderio di vedere una figura come il Papa assistere alla performance quale testimone di un momento di toccante bellezza e primo portatore di un messaggio universale: l’amore è amore e non ha involucri, schemi, genere.
Pur rimanendo un sogno irrealizzato, secondo Christopher Rudd già solo la possibilità di esibirsi in una città come Roma, fulcro della cultura religiosa, avrebbe avuto un enorme impatto a livello sociale e culturale. La presenza di una coreografia come Touché ha fatto sì che Les Étoiles non figurasse come il “solito” gala di danza, ma che ponesse sullo stesso piano repertorio classico e attualità con un tema che anima quotidianamente il dibattito della società più illuminata: la discriminazione di cui si alimentano tutte le forme di omofobia.
Ancora oggi, anche se in misura minore rispetto al passato, la stessa arte coreutica non è totalmente libera da stereotipi: un ragazzo che sceglie di studiare danza può correre il rischio di essere stigmatizzato poiché considerato non conforme rispetto a quello che la società si aspetta da lui e dalle sue scelte in campo sportivo. Fortunatamente la danza non fa distinzioni di genere, è una forma d’arte completa e democratica, insegna rispetto, libertà, disciplina e può essere considerata un baluardo contro ogni forma di pregiudizio. E Touchè, lo dice anche il titolo, è un’opera d’arte che attraverso la danza è stata capace di toccare con delicatezza le menti, le coscienze, i cuori. Ha celebrato l’amore puro, ha rappresentato il sogno di un mondo libero dall’odio, ha messo in scena attraverso un passo a due la legittimazione dell’amore che di legittimazione non avrebbe bisogno, perché l’amore è amore sempre e, in quanto tale, capace di legittimarsi da sé.
La danza ha il potere di scuotere il profondo di ognuno di noi e di farci osservare attraverso un nuovo sguardo sul mondo perché come ci insegnava il poliedrico Jean-Louis Barrault, attore e regista francese, “Danzare, è lottare contro tutto ciò che ci trattiene, tutto ciò che ci affonda, tutto ciò che pesa e appesantisce, è scoprire con il proprio corpo l’essenza, l’anima della vita, è entrare in contatto fisico con la libertà.”
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