Quel clown che hai dentro

Non esiste figura più ambivalente del clown: fautore di un’inquietante fobia, ma anche fonte di allegria e sollievo. E dobbiamo imparare a conviverci nel profondo. 

Giuseppe Armillotta

La paura dei clown è, dopo quella degli insetti e del buio, forse una delle paure più ricorrenti  nell’essere umano, ma perché fanno così paura? Forse perché rappresentati spesso con denti aguzzi, un’espressione tetra o del sangue che gli cola dagli occhi. Eppure i clown non fanno paura solo quando vogliono ucciderci, chi ha paura dei clown ha paura anche di vederne uno che sorride. La psicologia ci dice che è causa di un trauma causato nei primi anni di vita e il clown potrebbe continuare a far paura anche da adultə, per via della sua condizione drammatica e profondamente umana che difficilmente si sposa con il tenore di vita ad oggi richiesto. 

L’iconografia dei clown è minacciata sempre di più e i clown positivi scarseggiano: chi indossa un naso rosso finisce nella categoria di personaggi da non frequentare, quando al contrario dovrebbe essere per noi d’ispirazione. Prendiamo ad esempio il Joker di Batman, oppure Pennywise, il clown che ha terrorizzato tutti nel libro IT che sono di gran lunga più famosi dei clown sorridenti che vedevamo al circo da bambini o nelle corsie d’ospedale – come non citare il famosissimo Patch Adams che ispirò il film con Robin Williams?  

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Il clown Pennywise (Tim Curry) nella miniserie tv It | ABC, 1990

Ma dove sono i tempi in cui il clown faceva ridere e soprattutto perché il clown faceva ridere? ‘Perché faceva qualcosa di buffo!’ Potrebbero dire alcuni. Ma provate a mettere davanti ad un pubblico una qualsiasi persona a fare cose buffe: il pubblico si gelerà dall’imbarazzo e il povero malcapitato suderà angosciato. Da dove nascono queste risate?

Il clown, o meglio il nuovo clown che costruisce un ponte per la modernità, è stato definito da Jacques Lecoq nel suo Il corpo poetico come l’esaltazione di una drammaticità insita nell’animo umano. Quest’ultimo è messo a nudo, smascherato, e fa delle sue debolezze la sua più grande fortuna: ecco perché ci fa ridere. Il clown più è sé stesso e più ci fa ridere; ma ridere ironicamente, nel profondo, è una risata che ci tocca il cuore e che ci mette in una situazione di superiorità. Io rido di lui che è stupido, ma il clown non può perché non può ridere della sua condizione umana.

Il naso rosso è una maschera che paradossalmente elimina tutte le maschere, ma mette in evidenza le nostre imperfezioni. Il clown è un bambino che si stupisce del mondo che lo circonda e non ha malizia o volontà d’inganno, perché vive costantemente nel presente. La sua condizione è scandita non solo dalla sua sorpresa nel compiere azioni, ma anche dal rapporto col pubblico: il clown deve donare le sue reazioni emotive alle persone, poiché se tenesse il suo fiasco e il suo dramma per sé diventerebbe un caso clinico. Il clown gioca con il mondo e con le parole che prende alla lettera: se un clown sente dire ‘ho le ali ai piedi’ probabilmente cercherà di scoprire come si ottengono, perché il suo desiderio è sempre stato volare. 

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Jacques Lecoq, attore teatrale | 1921-1999

Per Lecoq il clown è uno stato d’animo e dovrebbe rientrare nel nostro linguaggio e nel nostro modo di vedere le cose. Il clown, come detto precedentemente, è senza difese, messo a nudo, fa delle proprie debolezze un personaggio che non può essere nessun altro se non se stesso: è unico. Per questo motivo dovremmo avere uno stato d’animo più vicino a quello del clown, per ricordare a noi stessə che le nostre debolezze ci rendono insostituibili, sono quelle che gli altri vogliono vedere, che nel clown ci strappano una risata e nella vita di tutti i giorni ci fanno essere amati. 

Ecco perché il clown potrebbe farci paura, perché è un folle che si smaschera davanti a tuttə, la sua condizione attuale è come quella di un folle che grida in pubblico la sua verità. “Signora mia e cosa ci vuole a fare i pazzi? Basta scendere in strada e dire a tutti la verità” come diceva Pirandello nel Berretto a sonagli. Il clown, nel secolo attuale, è la paura di essere scoperti, la paura di dire a tutti la verità. In questo secolo dissacrante, dove il tempo sembra andare alla velocità della luce, in cui corriamo all’impazzata verso un luogo senza guardare in basso, non ci rendiamo conto di essere su un tapis roulant. Dovremmo piuttosto goderci il momento, inspirare dal naso, stupirci dell’attimo e viverlo in serenità, forse per staccarci dalla vita degli adulti, tornare bambini e mettersi a cercare insieme ad un clown la notte… perché gli è stato detto che è caduta.

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