Dal rito sciamanico al festival, decostruzione e visioni di musica psichedelica
Da sempre la nostra necessità di movimento segue un ritmo.
La natura risuona, in lei la vita.
Echi lontani e brulicare contiguo, a sballottare le nostre facoltà uditive in un’armonia talvolta stridente, talvolta estatica.
E poi ci siamo noi, entità pensanti, alla costante ricerca di una sintonia con il resto del tappeto sonoro. Pronti allo stesso modo ad essere estasiati da una melodia, o straziati da una dissonanza. Cosa le nostre orecchie odono diventa metro stesso del nostro saper stare in un determinato luogo.
E la natura raramente ci regala suoni sgradevoli.
Quando ci si trova in un ambiente anantropico si vanno distinguendo, una alla volta, alcune sonorità, che senza quello slancio attentivo sarebbero tutte assonanti ad un unico grande spartito musicale. Questo coro naturale di armonie che si intersecano, però, può essere udito come un solo suono. In un paradosso per il quale non sai se il suono di fondo è uguale alla somma di tutti gli altri, inscindibili.
Avete mai sentito il rumore emesso da un bosco, o dalle pareti di una montagna?
A partire dalle primordiali formazioni cerebrali, e un udito recettivo che allerta per l’attacco o la fuga, nel gioco della sopravvivenza, il nostro destino ci ha portato a considerare il valore estetico-estatico degli stimoli sonori.
Si narra, nelle sacre scritture indiane della Brihadaranyka Upanishad, che “il mondo nacque dall’espirazione di un suono-luce, la cui frizione creò gli dei e le stelle finchè si espanse nella materia”. Secondo le Upanishad “questo suono originale era un canto in lode della morte, e della vita vorremmo aggiungere. E della fame che fa gonfiare tutte le cose. L’ascetico digiunatore agisce analogamente quando offre il respiro della vita cantando o recitando dalla caverna del suo cuore e dei polmoni”1.
Questa vibrazione è la tonalità che vibra alla stessa frequenza dell’universo.
La stessa vibrazione che genera l’universo.
Substrato fertile all’emersione integrata di tutti gli altri rumori. Compreso il nostro.
La nascita mammifera come meta-rappresentativa di quella universale.
Sviluppo anch’esso stratificato a scaglie temporali su un rumore di fondo.
Un battito sordo e ritmato, pompa di energia generosamente emanata in noi.
Il suono della vita, che ci viene da Madre donata. Dal suo corpo, dal suo amore. O meglio, nell’accezione meno sentimentalistica, e più letterale possibile, dal suo cuore che per noi batte.
Uno dei suoni, questo, più facilmente riproducibili, che ci ha portato a cimentarci, da sempre, e in ogni luogo, con la costruzione di percussioni, che accompagnano i riti tribali dei nostri antenati dalla notte dei tempi.
E se mettiamo insieme questi due archetipi sonori: il primordiale Om, rumore di fondo cosmico, e il battito cardiaco, fonte di èlan vital, il risultato è uno solo: la musica trance psichedelica. Diverse origini in una convergenza.
Inizialmente un suono ritmico di percussione per il cuore materno; la voce, o strumenti primordiali a fiato, come il digeridoo, per la vibrazione cosmica. Ultimamente evolutosi, ma solo grazie alla riconnessione al primordiale, e diventato adesso di futuristica produzione elettronica.
Le origini più immediate di questa riappropriazione dell’antico al presente vanno ricercate fra le comuni di Goa, la ridente città dell’india meridionale, meta del peregrinare di molti hippies, dopo la fine del sogno rivoluzionario. Una pensione d’oro, dove arrivarono i primi sintetizzatori. E nacque così la goa trance. In seguito, con la quasi spontanea affiliazione al genere del concetto di psichedelia, e l’evoluzione di nuova strumentazione musicale, venne definita Psychedelic-trance.
Al suono rigido dei synth si sostituisce ora quello più tridimensionale e digitale. Inizialmente sviluppata, più che probabilmente, sotto l’effetto di qualche psichedelico, con l’intento di determinare in chi l’ascolti uno stato di Trance. Quest’ultimo ottenuto vivendo la vibrazione dei bassi nel corpo, e il tappeto sonoro a frequenze più alte nella fantasia, con la curiosità di affacciarsi alla sua ricorsività e ai pattern, come se sinestesicamente si trattasse di un mandala acustico.
Genere musicale di una angusta nicchia del gradimento, o possibilità di comprensione. Movimento profondamente underground, ma ossimoricamente divenuto di portata globale. Pur sempre una delle ultime, ed uniche, forme musicali esplicitamente ad uso rituale. Ormai la musica, con il commercio che ne deriva, ha apparentemente disinvestito il suo valore sacro, per trasformarsi in profano sottofondo a profane occasioni. Mondane e private. Ma se la sacralità è morta, non lo è il nostro bisogno di viverla, constatabile nel vuoto assoluto di misticismo attorno alle nuove forme di espressione musicale mainstream.
Indi come fare per vivere a pieno l’esperienza, qui approssimativamente descritta, in mediazione delle visioni di chi scrive, in attesa dell’empirismo di chi legge?
Ogni movimento sociale e culturale di ampia portata ha i suoi momenti e i suoi spazi di elezione. Per la Psy-Trance sono i festival psichedelici.
Diffusi in tutto il globo terracqueo, come tutti i festival musicali, ma forse più transculturalmente di altri generi. Siti anche nelle località più impervie e selvagge, ricercando la condivisione di intenti nella Natura, che li ospita in prati, spiagge, pendii, boschi. Alla perpetua ricerca di suggestione dal contatto con essa. Cercando di avere il minore impatto, per quanto possibile, ad esempio con materiali ecosostenibili per le strutture, consapevoli delle contraddizioni che la nostra presenza su un qualsiasi suolo comporta.
Adunanze tribali tematiche che riuniscono gli appassionati di tutto il mondo sotto la benevola insegna della connessione tra persone, natura, entità, elementi, cosmo, trascendenza… Il dancefloor diventa il terreno più fertile per la celebrazione di tutto questo. Il nucleo dell’esperienza. Il tramite verso l’elevazione spirituale del rito musicale trascendente, dove poi i goani si trovano nei giorni del festival a celebrare, sotto la coltre del cielo e gli stravaganti tendaggi, che richiamano motivi spaziali frattalici, aumentando la suggestionabilità dei festanti e predisponendoli alla condizione che liberi la mente allo stato di trance. Attraverso gli stati non ordinari raggiunti tramite l’ascolto della musica, il ballo, o la assunzione di sostanze psicotrope.
Che sia per una nottata soltanto, o una settimana intera, una sola certezza: il rito va celebrato, e la musica non deve essere interrotta. Il nuovo sciamano è il dj e gli altoparlanti dai quali il frastuono spirituale viene diffuso incessantemente hanno la valenza di totem. L’esperienza musicale deve essere intesa oggi in sostituzione di quella sciamanica e mistica, come entità che prende per mano, come unica costante, rifugio della mente e del corpo, nell’incedere del tempo del quale si va a perdere la concezione. Per la durata del festival ogni momento è scandito dall’assordante musica proveniente dai pachidermici impianti. Il primo e l’ultimo suono uditi quando si cade in un sonno profondo, nelle tende sistemate a grappoli in ogni spazio libero. Se mai per un momento il flusso sonoro si arresta, si avverte chiaramente lo sgomento sul volto dei partecipanti.
Questa situazione può essere vissuta in un’accezione più sacrale, o più dionisiaca.
C’è chi allo stato estatico di trance preferisce il raggiungimento della dissoluzione dei confini in modo meno sublime, e più “terreno”, provando un piacere estremo, che nella nostra società non ci è concesso di esperire. La celebrazione assume il carattere sabbatico del superamento di ogni confine, e tra un groviglio di corpi e di emozioni da loro condivise si assiste al gioco delle parti, intrecci eterni collettivamente rimossi, rivelarsi di verità pulsionali concrete, palesi. Forze incredibili, della potenza dei corpi, o del loro disfacimento. Lo stesso per le menti. Tutto è soggiacente all’atmosfera baccanalica del momento. In un alternanza fra altitudine spirituale e bassezza istintuale…O talvolta si potrebbe fare il discorso inverso.
In una giungla di libertà ed espressione dove però il rispetto per l’altro è sempre, forse automaticamente, predisposto a rivelarsi come presupposto.
Questa corrente, forse più di tutte, ha saputo prendere a prestito, o forse sarebbe più appropriato (e semanticamente apprezzato) dire riciclare, molti aspetti della cultura hippie. Dimenticata o denigrata con la fine del movimento giovanile dei figli dei fiori, travolto dalla repressione negli anni ’70. Non più così presente da essere stile di vita… Il ritorno sulla scena di questa corrente, può essere visto come la rinascita di un ideale, in un momento storico di non ritorno come il nostro, visto il sempre maggior interesse d’attualità intorno al ritorno alla natura e a stili di vita e quindi anche di svago meno impattanti nei suoi confronti.
Ridestandoci dalla visione a tema spirituale, per avere uno sguardo più sociologico ed obiettivo, anche la controcultura, massificatasi e quindi commercializzata, diventa soggetta alle stesse leggi della cultura.
E la Psy-Trance non fa eccezione.
Succube di tutte le degenerazioni del caso, e non sempre ascoltata, ballata, suonata, proposta per scopi rituali, meditativi e trascendentali.
Una moda che si traduce in compravendita capitalistica di prodotti ammiccanti alle filosofie new age, nei mercatini sempre presenti ai festival. Vegetarianesimo, pietre spirituali e tessuti e manufatti biologici. Per quanto possano rispecchiare un giusto ideale, troppo spesso rappresentano soltanto un’altra forma di shopping con prezzi fuori mercato.
Questa appartenenza sovraordinata ed eco-consapevole dovrebbe essere, per tornare a noi, quello spirito, senso di comunità, che si respira ai festival. Purtroppo parte di questo clima si sta perdendo nelle adunanze (gathering) disseminate in giro per il mondo. La diffusione di massa e la commercializzazione dei fenomeni determina spesso un inquinamento dei loro ideali di base. Ed in questo caso un appassimento verso il banale evento di musica elettronica, luogo di abuso di sostanze e di edonismo spinto, ma fine a se stesso. Di mancata ricerca dell’alterità e del sempre proficuo punto di contatto con essa. Di perpetrazione di individualismo invece che di collettivismo. Moto fine a sé stesso, in una società dove il paese dei balocchi è permesso e commercializzato, ma solo una settimana all’anno.
I festival psichedelici dovrebbero avere come presupposti il legame con la Natura e le sue certezze, l’alba e il tramonto, come momenti cardine; la possibilità di ballare sotto il sole o la luna, e dimenticarsi di mettere le scarpe per giorni, volteggiando a piedi nudi sull’erba, di lì a poco consumata, nello spazio antistante le casse. O ovunque si desideri. Un’occasione in cui non dovrebbe contare chi sei, da dove vieni, come appari. Ma solo cosa esprimi, e cosa doni di te a chi ti è affianco, che tu lo conosca o meno.
L’appartenenza e non l’apparenza. La condivisione e non il possesso. Esperire questa umanità, il lasciare libere vitalità, emozione, pulsione, insegna molto. E permette di conoscere aspetti impronosticabili dell’esperienza umana. Come il liberarsi dalle strette funi che ci imbrigliano non voglia dire per forza il raggiungimento della dissolutezza, ma anche un maggiore fedeltà a se stessi, e al proprio sentimento di giustizia, empatia incorporata, generosità, sostegno reciproco, invece della sopraffazione.
Ed allora la gente di tutto il mondo si ritrova sotto le stesse insegna a celebrare la notte, il giorno, ed il connubio fra le due…
libera la mente dalle contingenze e si lascia andare, trascendendo.
In un battito incessante come quello che rispecchia la vita di noi e dell’universo.
Note
- Paolo Isotta Il canto degli animali. I nostri fratelli e i loro sentimenti in musica e in poesia, Marsilio editori, 2017
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