La classifica dei film che più ci hanno appassionato dell’edizione degli Oscars 2021, da visionare tutta d’un fiato!
Ogni anno il periodo che precede la notte degli Oscar si trasforma in una corsa estenuante, una vera e propria maratona fatta di ulteriori premiazioni, pronostici e sorprese che spesso scompaiono ancor prima che la cerimonia inizi. Una volta assegnate le ambite statuette poi, tutto improvvisamente si acquieta, lasciando il posto ad un inesorabile vuoto, che verrà ben presto riempito dai titoli in lizza per la rassegna dell’anno successivo, in una giostra pressoché infinita. Ma cosa succede ai film in concorso, una volta che le luci della ribalta si sono spente? E soprattutto, cosa accade ai film che purtroppo non hanno ottenuto il premio più importante?
Se dovessimo ridurre l’intera manifestazione unicamente alla statuetta e al relativo vincitore faremmo un immenso torto all’industria cinematografica in generale e alle pellicole in particolare, troppo spesso trattate come semplici prodotti e non come storie che hanno una vitalità propria, che si plasmano a seconda dello spettatore e si nutrono delle sue emozioni. Noi di Cicles ci siamo presi il tempo per guardare le pellicole, farle nostre e amarle, e in seguito proporvi di imbarcarvi insieme a noi in questo viaggio.
Aprono e chiudono la nostra piccola rassegna due titoli direttamente dalla categoria Miglior Film Straniero, di cui l’ultimo, Druk, ne è poi risultato il vincitore. Quo Vadis Aida? e Druk non hanno però solo in comune la provenienza, ma anche il tema di fondo: se Aida combatte la guerra vera, quella balcanica del 1995, il protagonista di Un altro giro combatte quella contro sé stesso. Seguono poi Ma Rainey Black Bottom e Nomadland, che ha guadagnato la statuetta più ambita, quella del miglior film. Le due pellicole ci portano nel cuore pulsante degli Stati Uniti, Chicago Illinois il primo, la costa più occidentale degli States il secondo. Due potenti storie di minoranze che ci trascinano nella pancia dell’America, con le sue contraddizioni e le sue virtù.
Armati di pinne, mute da sub, maschere e boccagli, ci siamo quindi immersi nella pellicola vincitrice della categoria Miglior Documentario, Il mio Amico in Fondo al Mare, alla scoperta non soltanto delle meraviglie che si celano sott’acqua ma anche di come un essere vivente come un polpo possa cambiare il modo di pensare di un essere umano una volta osservato e studiato. Dimostrazione empirica di come non sia necessario farsi sparare nello spazio alla ricerca mondi lontani per stupirsi, ma che possiamo farlo già qui sul nostro pianeta esplorando quegli ecosistemi, quelle creature, che fino a poco tempo prima non conoscevamo o davamo per scontate o, peggio, pensavamo ingenuamente che non avessero nulla da insegnarci.
Non ci siamo fatti scappare la possibilità di parlare anche del Pinocchio di Matteo Garrone, nuovo adattamento per il grande schermo dell’opera più famosa di Collodi e di come essa sia non solo una di quelle favole senza tempo che, seppur figlia di un’epoca diversa, porta in sé una simbologia e una morale sempre attuale, ma anche una narrazione intergenerazionale che saprà comunicare emozioni e messaggi diversi a seconda dell’età dellə spettatorə.
The Sound of Metal è a mani basse tra i film più particolari che abbiano concorso quest’anno alla serata delle statuette: vincitore degli Oscar per Miglior Sonoro e Miglior Montaggio. Tramite un sapiente lavoro di sottrazione, non potrete rimanere impassibili quando la pellicola vi farà provare sulla vostra pelle il soffocante silenzio che si impossesserà della vita di Ruben. Ogni pellicola porta lo spettatore a riflettere su una tematica diversa del dibattito politico e sociale degli ultimi anni, attraverso punti di vista differenti, senza dimenticare la sfera più intima dell’animo umano. La selezione da noi operata risponde ad un’esigenza specifica, quella di allargare gli orizzonti, e proiettarci, seppure solo per un paio d’ore e attraverso uno schermo, tra passato e futuro, e guardare con occhi diversi le sfide che ci attendono. Se cercate la vera maratona degli Oscar, allora siete nel posto giusto.
Quo vadis, Aida?
Spesso è la categoria più snobbata a regalare le perle più belle, e anche quest’anno gli Oscar 2021 non fanno eccezione. In concorso come “miglior film internazionale” troviamo Quo vadis, Aida?, che si sofferma su una delle pagine più drammatiche della storia contemporanea. Si tratta infatti del primo film a trattare in maniera esplicita il massacro di Srebrenica, evento spartiacque della guerra in Bosnia ed Erzegovina.
È il 1995 e durante le guerre di dissoluzione della Jugoslavia l’esercito serbo conquista la bosniaca Srebrenica, dove Aida vive con il marito e i suoi due figli. Aida è una traduttrice che lavora presso la base ONU, e ritiene di essere al sicuro all’interno del perimetro militare, dentro il quale nel frattempo dopo l’assedio altre centinaia di cittadini di etnia bosniaca si sono rifugiati. Quando però le truppe dell’esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina si avvicinano a quella che in precedenza era stata dichiarata zona protetta, ad Aida non rimane altro che tentare il tutto per tutto pur di salvare la sua famiglia.
La regista Jasmila Zbanic prende spunto dalla vera esperienza del traduttore bosniaco Hasan Nuhanovic, sopravvissuto al massacro, per dipingere una storia di raro coraggio e forza d’animo, nonché per dare finalmente luce a quella storia recente che troppo spesso si tende a dimenticare. Orrore ed empatia camminano a braccetto per tutta la durata del film, costruito sull’onnipresenza della straordinaria figura di Aida, che incredibilmente non perde mai controllo e dignità. Una vicenda raccontata dall’interno con lucidità e semplicità, che mette lo spettatore di fronte al bisogno urgente di raccontare, ricordare, accettare e ricominciare.
Sound of Metal
Iniziamo subito col dire che The Sound of Metal di Darius Marder, che concorrerà in ben 6 categorie agli oscars, non è un film per musicisti. Non è qualcosa che si può apprezzare solo se si conosce bene la musica o si è estimatori del genere metal. Esso può essere apprezzato da chiunque sia animato da una passione che lo spinge a praticarla in ogni momento possibile, da chiunque veda in un interesse o in un proprio hobby parte integrante e inscindibile dalla propria persona.
Da un giorno all’altro Ruben, batterista di una band metal, perde improvvisamente l’uso dell’udito. Questo avvenimento scardina totalmente la sua vita e quella della sua ragazza che si vedono costretti a cambiare drasticamente i loro piani: lei torna a casa dal padre, lui entra in un centro di recupero. In questo luogo troverà non solo una comunità che lo accetterà e aiuterà a interfacciarsi con un nuovo modo di comunicare ma gli darà anche la possibilità di costruirsi una nuova vita. Ma saprà accettarla?
Ciò che quest’opera racconta è la paura non soltanto di dover rinunciare a ciò che si ama, ma di perdere contemporaneamente anche le persone più care, vederle andare via. Le scelte del protagonista saranno votate al tornare alla vita di prima, senza però porsi la domanda se davvero ci sia ancora un “prima” al quale poter fare ritorno. Ogni persona vive dei momenti nella propria vita che vorrebbe poter cancellare. Ma se non si accettano questi cambiamenti come parte di sé, il futuro non potrà che essere una pessima imitazione del passato. Il suono del metallo che sentirà il protagonista sarà la testimonianza dell’irreversibilità degli eventi nella propria esistenza.
Ma Rainey’s Black Bottom
“Singing doesn’t help you feeling better. It helps you understanding life.” Chicago, Illinois, 1927. Ma Rainey, “the mother of blues”, deve incidere un nuovo album. Ad aspettare la diva sempre in ritardo c’è la sua band, in cui il giovane Levee Green suona la tromba. Levee ha talento e lo sa, ha solo bisogno di un’occasione per dimostrare quanto vale e spera che il discografico che produce Ma Rainey decida di produrre anche la sua musica. Nel gruppo però ci sono forti tensioni, e l’atteggiamento della diva non farà che peggiorare le cose, fino al triste epilogo.
Ispirato all’opera teatrale di August Wilson, in Ma Rainey’s Black Bottom c’è molto più di quello che ci si potrebbe aspettare. C’è la difficoltà di essere artista, professione ora come allora spesso purtroppo derisa. C’è l’essere artista e donna come Ma Rainey, consapevole del fatto che “a questi uomini non importa niente di me, vogliono solo la mia voce, e quando l’avranno avuta tornerò ad essere una puttana.” C’è la rabbia e la voglia di rivalsa dei giovani come Levee; e poi c’è il tema della razza, che emerge prepotentemente attraverso i racconti degli abusi razziali subiti dai personaggi.
In un adattamento cinematografico che ricorda molto una piece teatrale con pochissimi cambi di scena, tutto è costruito sui personaggi, i cui monologhi intensi e i dialoghi serrati fanno emergere gli accenti marcati e scanditi come il blues che suonano. Viola Davis si trasforma ed entra nella storia, diventando l’attrice afroamericana con più nomination all’Oscar. Chadwick Boseman è vibrante, vero ed appassionato nel suo ultimo ruolo che sembra essere un’eredità per tutti noi. Lasciatevi trasportare dal richiamo primordiale del blues. One, two, you know what to do.
Pinocchio
Garrone porta sul grande schermo una nuova interpretazione della favola più celebre di Carlo Collodi, originariamente pubblicata a puntate tra il 1881 e il 1882 con nome La storia di un burattino; poi completata nel libro per ragazzi uscito nel febbraio del 1883. Inutile fare un riassunto della trama poiché ad oggi è difficile che qualcunə non sia mai entrato in contatto con questa storia, grazie alla versione Disney che ha contribuito enormemente alla celebrità della favola non solo in Italia ma soprattutto all’estero.
Tutto fa pensare quindi che, aldilà del mero aspetto estetico (ambito nel quale Garrone è maestro), nulla possa guidare la nostra curiosità verso la pellicola poiché qualcosa di già visto, rivisto e riascoltato più volte. Ma è qui che entra in gioco la magia del film. Pinocchio è una di quelle favole senza tempo che, seppur figlia di un’epoca diversa, porta in sé una simbologia e una morale sempre attuale. Non soltanto, la storia trova il suo valore più grande nelle sue numerose sfaccettature di interpretazione e i vari livelli di lettura: esistono infatti film, come ad esempio grandi capolavori Pixar quali Inside Out, Toy Story e Coco, che offrono messaggi diversi a seconda dell’età degli spettatorə.
Per questo la favola di pinocchio è eterna. Per questa ragione, ancora oggi, vale la pena soffermarsi a guardarne una sua nuova reinterpretazione: non importa quante volte sia già stata vista, letta o ascoltata. L’età adulta permette di scoprire ciò che nell’infanzia restava nascosto.
My Octopus Teacher
Premiato come miglior documentario agli Oscars 2021, il film racconta l’avventura del regista Craig Foster alla scoperta dell’ecosistema della foresta di kelp nella False bay a Cape Town (Sudafrica). Titolato in italiano Il mio amico in fondo al mare e distribuito su Netflix, questo documento è ben più che una storia di amicizia; un concetto che rischia di smorzare il senso profondo sotteso. È infatti My Octopus Teacher il titolo in inglese, che esplicita il carattere edificante e trasformativo dell’esperienza di vita di Foster.
Per rispondere a una crisi depressiva l’uomo decide di ritornare nelle acque della sua infanzia alla ricerca della meraviglia. La foresta subaquea diventa il teatro di storie biologiche inimmaginabili, descritte con minuzia e fascino per ciò che è alieno. Tra le tante specie osservate Foster inizia a seguire la lotta per la sopravvivenza di una piovra (Octopus vulgaris), dalle capacità davvero sorprendenti.
Le riprese in apnea mostrano il polpo nelle sue caleidoscopiche traformazioni. Questo animale, solitamente protagonista di sfiziosi piatti gourmet, possiede una capacità di mimesi sconcertante e riesce non solo a dissolversi nell’ambiente, ma anche a sfruttare rocce e conchiglie come sistemi di difesa, simulare il comportamento di alghe e detriti. Le capacità cognitive dell’animale sono infatti paragonabili a quelle di gatti, cani e piccoli primati.
Il lavoro di mappatura e ricerca di Foster si spinge oltre un approccio scientifico standard, dimostrando che talvolta sono l’esercizio immaginativo e l’immedesimazione i responsabili di scoperte fuori dal comune. È un ritorno alla filosofia classica, all’osservazione qualitativa, ciò che muove il sentimento d’amore del sommozzatore per questa polipessa. “Ho iniziato a sognarla e pensare come una piovra” dice ad un certo punto Foster, rendendosi conto di quanto quell’alleanza interspecie lo avesse cambiato.
Nomadland
Nomadland, letteralmente “la terra dei nomadi”, è un luogo diffuso, sparpagliato, trasversale. Non sta in un punto preciso della cartina, ma alberga nei cuori di chi abbandona tutto per mettersi in viaggio, per vivere lungo la strada.
Nomadi sono coloro che vedono, ad un tratto, la propria vita andare in pezzi e per questo si attraggono l’un l’altro. Nomade è chi fugge dalla promessa di una vita sfavillante e si ritrova a fare i conti con il volto più duro di questo mondo: quello che si vende bene, ti sfrutta fino all’osso e poi ti getta via; in strada, sarebbe giusto dire.
In questo film c’è spazio per ciò ne ha meno di tutti sui nostri schermi: la senilità e quel tipo di dolore che non si può lasciare andare, che si accetta di portare con sé per sempre. Nella nostra società della performance c’è una una zona d’ombra in cui vivono le persone emotivamente danneggiate e le persone anziane, coloro che non possono più produrre nulla e vivono di stenti dopo un’esistenza passata a faticare.
In questo film della giovane regista Chloé Zhao, con l’eccezionale attrice protagonista Frances McDormand, vediamo storie di esseri umani che si intrecciano o si sfiorano per un breve istante. Grandi temi come il lutto, la vedovanza e la genitorialità si srotolano lungo una strada, lungo un viaggio intenso ma dipinto a pennellate delicate.
Druk
La teoria dello psichiatra Finn Skårderud sostiene che l’uomo sia nato con un deficit da alcol pari allo 0,05% che lo renderebbe meno attivo, più introverso, sia nelle relazioni sociali che in quelle psico-fisiche. Nel momento in cui questo deficit fosse colmato e mantenuto al di sopra di questa soglia mediante l’assunzione costante di alcool si riscontrerebbe un miglioramento in positivo in tutti i campi, sia lavorativi che sociali. Questa è la premessa dalla quale parte la narrazione di Un Altro Giro (Druk), vincitore in questo 2021 del premio Oscar per il Miglior Film Internazionale.
Vinterberg ci rende spettatori della storia di quattro docenti danesi, demotivati nella professione e ormai del tutto passivi nei confronti della vita, che tentano di mettere in pratica la teoria di Finn nella speranza di trarne benefici sia in aula che nella vita privata. E, dopo un primo tentennamento, i risultati non si fanno attendere. Ma cosa succede se si supera la dose raccomandata nel tentativo di migliorare ancora?
Questa è sicuramente una delle pellicole più interessanti dell’anno poiché trascina sullo schermo la storia di 4 uomini che cercano di ritrovare l’ardore di un tempo, non senza però correre rischi, trattando l’assunzione e gli effetti dell’alcol in maniera molto lucida e disincantata.
Parte del suo fascino deriva non soltanto da un magistrale Mads Mikkelsen, senza dubbio in una delle sue prove attoriali migliori, ma anche dal suo messaggio a tratti controverso, se non addirittura pericoloso, se visto con una eccessiva dose di ingenuità. Fin dove il film finisce di comunicare un messaggio di esortazione al tirar fuori il meglio di sé e inizia invece il fraintendimento, arrivando a sovrapporre gli effetti dell’alcool a quelli degli spinaci di braccio di ferro?
La visione dunque è caldamente consigliata, ma sappiate che potreste ritrovarvi a non gradire il gusto che la pellicola vi lascerà in bocca.
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