L’epico scontro tra l’umano e la scimmia. Una rilettura della nuova trilogia del Pianeta delle scimmie.
La trilogia reboot del Pianeta delle Scimmie racconta un futuro distopico in cui le scimmie ascendono a dominatrici della terra grazie ad un virus che le rende più intelligenti. Ma il conflitto non si svolgerà unicamente tra loro e gli esseri umani bensì anche tra Cesare e l’ombra dei suoi demoni interiori.
Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Nessun detto può descrivere meglio Will, il personaggio principale della prima pellicola (L’alba del pianeta delle scimmie, Rupert Wyatt, 2011), il chimico alla ricerca di una cura per l’Alzheimer per salvare il proprio padre dalla malattia. Qualcosa però va storto e, nel momento in cui la sperimentazione accelera per fini economici, il medicinale sfugge di mano con conseguenze per l’uomo devastanti. Tutt’altro effetto ha sulle scimmie che, una volta inalato il farmaco, acquisiscono intelligenza e capacità cognitive elevate.
La cura quindi diventa virus, il quale non soltanto condanna l’uomo ad una lenta regressione, ma genera nello stesso momento la specie che gli succederà all’apice della catena evolutiva. Un processo che può essere immaginato come uno scambio di ruoli, un sorpasso, dove il primate diventa essere cosciente e viceversa. L’uomo perde il dono della parola e del pensiero razionale, la scimmia guadagna autocoscienza e intelletto. La linea evolutiva si riavvolge in un processo dove ciò che veniva considerato l’origine di un passato biologico ora è l’anatema di un futuro dove non c’è spazio per l’essere umano.
Emancipare il popolo

I tre film raccontano la storia di Cesare, leader del branco, dalla sua nascita alla sua morte. Da quando prende coscienza del suo status di animale domestico, le sue azioni sono guidate da un unico scopo: dare a sé e alla sua specie una casa dove vivere lontano dall’uomo. Un luogo dove le scimmie possano prosperare in pace e libere. Ben presto però Cesare scoprirà che l’uomo non è l’unica minaccia e che l’insidia si cela anche all’interno del suo popolo: la ribellione di Koba (Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie, Matt Reeves, 2014). Se Cesare è stato cresciuto come un figlio da Will, dal quale ha mutuato valori come l’affetto e il perdono, Koba dall’uomo ha imparato solo l’odio e la vendetta. La sua sfiducia verso gli umani, che per anni lo hanno sfruttato come cavia per esperimenti, lo porterà a ricercare lo scontro razziale e a ribellarsi allo stesso Cesare, scatenando una guerra tra popoli.
Il conflitto tra i due primati si svolge dunque su un piano ideologico. Cesare crede nella cooperazione, nel dialogo e nella reciproca accondiscendenza, Koba, al contrario, è guidato dalla rassegnazione: l’uomo non cambierà mai e sempre vorrà sottomettere le scimmie. Non può quindi esserci dialogo, ma solo una guerra per decretare il dominatore della gerarchia interspecie. Lo stesso conflitto tra visioni differenti avviene anche nella fazione degli umani. Emergono infatti personalità che non odiano le scimmie e che tendono invece a voler cooperare per il raggiungimento di una pace. Non si creano mai quindi linee di demarcazione nette: le scimmie non sono tutte buone, gli umani non sono tutti cattivi. I tre film mettono continuamente in scena la complessità dei conflitti, rifiutando sempre le semplificazioni e riservando ai personaggi che ragionano con linee di demarcazione nette dei tragici epiloghi.
Sintesi ideologica
Il confronto ideologico viene ulteriormente approfondito nel terzo film (The War – Il pianeta delle scimmie, Matt Reeves, 2017), dopo la morte di Koba. Cesare perde la sua famiglia a causa dell’attacco del colonnello Wesley mcCullogh (Woody Harrelson) al rifugio delle scimmie, da quel momento il suo unico obbiettivo è quello di vendicarla. La sua ricerca della vendetta lo porta a separarsi dalla sua tribù, ad essere perseguitato dal ricordo di Koba e dalle sue parole. “Koba non è riuscito a liberarsi del suo odio, io non riesco a liberarmi del mio” è la frase che sottolinea il suo conflitto interiore. La sua ideologia viene messa alla prova ancora più duramente, poiché ora è lui a reclamare vendetta per ciò che gli è stato sottratto.
I suoi ideali potranno anche aver avuto la meglio, ma ora realizza che il torto si divide sempre a metà Il pensiero progredisce in una sintesi delle due visioni per riappropriarsi del suo ruolo di leader delle scimmie e guidarle verso la salvezza. Will gli aveva insegnato qualità come la pazienza, il perdono, il compromesso. Ciò che non poteva insegnargli era il compromesso con se stessi, con le proprie idee. E non avrebbe mai potuto, essendo proprio la sua ostinazione a curare il padre ciò che lo aveva portato a perdere il controllo sul virus in fase sperimentale. Ora a Cesare manca un ultimo valore da imparare.
La Pietà
All’inizio del terzo film, dopo un’attacco degli umani, Cesare libera dei prigionieri catturati durante il conflitto, come gesto di pace. Pur non essendo estraneo al concetto di pietà, il gesto viene piuttosto compiuto per mandare un messaggio di tregua, per chiedere che cessino i conflitti. C’è quindi un tentativo di non far ricadere su tutte le scimmie le colpe del singolo, del sovversivo. La vera sfida che Cesare dovrà affrontare sarà mettere da parte il suo odio verso il colonnello Wesley, tornare alla guida del suo popolo che necessita di lui e lasciarsi alle spalle i demoni e la vendetta.
Quando Cesare avrà la possibilità di uccidere Wesley, dopo un tentennamento, deciderà di risparmiargli la vita. Il gesto è da interpretare come una linea di demarcazione tra un uomo dominato dal risentimento e una scimmia caritatevole. Infatti, egli non aveva mai mostrato compassione per i suoi sottoposti contagiati dal virus, giustiziandoli come animali. Non c’è pietà nemmeno per il figlio. Episodio tragico, che lo conduce sulla via della pazzia. Ma cosa significa realmente quella linea, quella scelta?
Tracciare una linea

Si è parlato, all’inizio dell’articolo, di come il virus abbia portato una regressione nell’uomo e un’evoluzione nella scimmia. Simbolicamente, il sorpasso definitivo del primate sull’homo sapiens avviene nel momento in cui Cesare risparmia l’assassino della sua famiglia e lo sterminatore della sua razza. Il fulcro dell’intera trilogia non sembra essere la guerra, ma il concetto di umanità. Che cosa distingue l’uomo dagli animali? Difficile dare una risposta precisa, ma i film tentano di darne una sul quale riflettere. É proprio la pietà, la compassione a fare la differenza. Da Will che risparmia un Cesare appena nato al gesto di quest’ultimo di non uccidere il colonnello. Dal lato degli antagonisti, invece, questa qualità risulta totalmente assente, dalla società farmaceutica a Wesley, passando per Koba.
Non sono la nostra tecnologia o il nostro progresso a renderci umani, bensì il modo con cui ci relazioniamo all’Altro. É la capacità che abbiamo di intessere relazioni con chi ci sta attorno ed aiutare chi è bisognoso a far di noi ciò che siamo. Tutta la trilogia si articola su questo concetto, ponendo l’essere umano e la scimmia sul medesimo livello. Allo spettatore non viene chiesto di scegliere per chi tifare ma di interrogarsi sulle scelte che vengono compiute dai personaggi. E, se il perdono è ciò che distingue l’umano dalla bestia, il gesto di Cesare segna la vittoria delle scimmie sull’uomo anche da un punto di vista morale.

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