L’impresa artistica del leggendario frontman dei Beatles si chiama McCartney III, composto in piacevole solitudine nell’anno pandemico.
Cosa fare se ti ritrovi improvvisamente isolato nella tua casa di campagna del Sussex, Inghilterra del Sud? Se sei Paul McCartney, la risposta sembra più che ovvia. Andare ogni giorno in studio di registrazione e realizzare un album. In solitaria.
McCartney III è l’ultima fatica del bassista più famoso al mondo, pubblicata il 18 dicembre 2020, dieci giorni dopo il quarantesimo anniversario della morte di John Lennon. Si potrebbe pensare che questo sia un disco, come tanti che sono stati prodotti e pubblicati nell’ultimo anno, di pura reazione al fenomeno pandemico che il mondo sta attraversando. In realtà Macca (nomignolo affettuoso di derivazione squisitamente british) non è per niente estraneo ad esperimenti di questo tipo. McCartney III è solo l’ultimo capitolo della trilogia cominciata nel lontano 1970 con la pubblicazione di McCartney, primo disco dopo la separazione dai Beatles che coincide con il suo esordio da solista, e che prosegue con McCartney II, pubblicato nel 1980 subito dopo lo scioglimento dei Wings e pochi mesi prima dell’assassinio di John Lennon.
I tre lavori, che a un primo sguardo non hanno nulla in comune tra loro, seguono in realtà gli stessi fili conduttori, primo tra tutti l’immenso talento musicale del loro compositore: Paul registra tutti e tre i dischi in completa solitudine, occupandosi di esecuzione, registrazione e produzione interamente da solo. Tre album che sono tre esempi perfetti di un one man band.
“What I’m amazed with is that I’m not fed up with music. Because, strictly speaking, I should have gotten bored years ago” dice McCartney in una delle sue interviste più recenti. “La musica ancora non mi ha annoiato” è una buona traduzione, che riassume in poche parole l’essenza del processo creativo che sta alla base dei tre album, pur composti in momenti storici e personali molto differenti tra di loro, ma che rimane costante e che si riflette anche nello stile musicale adottato. McCartney era, paradossalmente, un album leggero e rilassato, in netto contrasto con la quotidianità che allora Paul si trovava a vivere. La separazione dai Beatles lo aveva lasciato depresso ed emotivamente svuotato, condizione aggravata dall’inizio di aspre battaglie legali per sciogliere definitivamente la società che lo legava agli altri tre musicisti. L’album attirò diverse critiche, la principale delle quali fu quella di essere un lavoro lasciato a metà. I suoi stessi ormai ex compagni di band ne ebbero ovviamente da ridire: George Harrison definì magnifica “Maybe I’m Amazed”, ma mediocre tutto il resto dell’album.
McCartney II apriva invece la strada a un periodo estremamente sperimentale, che si riflesse nei suoni funky che hanno un sapore vagamente elettronico grazie al massiccio uso dei sintetizzatori, registrati anche questi in maniera del tutto amatoriale da McCartney solo. Il concept dell’album nacque dall’unione di alcune incisioni dell’estate 1979 e dalle nuove del 1980, quando McCartney si ritirò in Scozia dopo aver messo in pausa il suo progetto con gli Wings e soprattutto dopo l’infausta vicenda del suo arresto a Tokyo a causa di 219 grammi di marijuana. Anche in questo caso la critica non fu benevola, bollando McCartney II come troppo sperimentale e autoreferenziale: “Nonsense being nonsense”, per citare Rolling Stones. E arriviamo, con un salto di ben 40 anni, a McCartney III, che ancora una volta vira su un genere diverso. Rock, senza troppi artifici, anche in questo caso leggero e divertito, con un unico piccolo accenno alla pandemia, se proprio lo si vuole andare a cercare.
“You never used to be afraid of days like this
And now you’re overwhelmed by your anxieties
Let me help you out
Let me be your guy
I can help you reach the love you feel inside”
“Find my way”, primo singolo estratto. Il cerchio si chiude. Macca è il precursore dell’isolamento, che sia fisico, emotivo, artistico, interiore. Non importa ciò che succede intorno, la musica che negli anni ha prodotto è sempre stata, soprattutto, musica che dimostrava quanto gli piacesse fare musica. Che non ci sia nulla di terapeutico e catartico è più che evidente; è da “Silly Love Song” che McCartney proclama la sua intenzione di rendere la sua musica prima di tutto piacevoli, finanche divertenti, e che agisce coerentemente con le sue convinzioni. C’è forse un po’ di presunzione, nel voler dimostrare ancora una volta di essere il genio che da tutti viene riconosciuto, ma anche consapevolezza nelle proprie capacità, nelle proprie convinzioni e nelle proprie azioni. Musica per la bellezza di fare musica. Una lezione che Paul prova ad insegnarci da quasi 50 anni.
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