Durante la performance live alle Officine Grandi Riparazioni il cantante d’Ivrea Cosmo propone il suo lato più edonistico, e quindi politico.
Era il 2 febbraio 2019 e, poco meno di un anno dopo, il mondo degli eventi live, del clubbing e della musica tout court avrebbe subito il duro colpo della pandemia mondiale di Covid-19. Tuttavia quella notte, al Forum d’Assago di Milano, ha avuto luogo una festa grandiosa, riuscita e ragionata. Ideata e interpretata dal musicista e cantante Cosmo (al secolo Marco Jacopo Bianchi, oriundo eporediese), la serata chiudeva il tour Cosmotronic, uno dei momenti più alti e partecipati della carriera dell’artista piemontese. Cosa significa “spazi per godere”? Tra le righe – ma non troppo – del suo show, Cosmo ci lascia leggere il suo pensiero politico.
La tappa torinese del 30 marzo 2018 si svolse alle OGR e proseguì fino alle 6.00 del mattino nei locali del Magazzino sul Po. Proprio in occasione di questo meraviglioso viaggio cosmico dentro la musica, Cosmo sfoderò, direttamente dal vivo, un pezzo inedito. Su una base sfavillante e pulsante, con visual incredibili e raggi laser (by Pfadfinderei e Christoph Schneider), attraverso la sua tipica cifra espressiva, tra il vocalist e il cantautore, la sua voce sfacciata e rilassata continua a ripetere la parola “godere”.
Il testo che seguiva, raccontato e non cantato, trascendeva il genere musicale e la situazione della festa. Cosmo, da bravo demiurgo, ha ibridato il club con la piazza, il palco con il pulpito, con un mega schermo televisivo. Ha trasformato la folla danzante in una massa di fedeli aventi diritto di voto, in una classe sociale, in un branco di animali feroci.
Abbiamo bisogno di una politica del piacere
“Abbiamo bisogno di spazi per godere, spazi in cui il piacere sia reiterabile fino al punto e all’ora in cui vogliamo.
Abbiamo bisogno di conoscerci, sperimentarci, modificarci.
Abbiamo bisogno di incontrarci, abbiamo bisogno di scontrarci, abbiamo bisogno di condividere.“
Cosmo, in un’atmosfera quasi ieratica, proclamava solennemente tutto questo dal suo palco, all’alba dell’entrata in vigore dei cosiddetti Decreti Sicurezza (dicembre 2018), ad opera dell’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini e del governo cui apparteneva.
Riascoltare (rileggere) questo manifesto a distanza di un anno, mentre un nuovo virus infuria per tutto il pianeta, ce ne fa cogliere la portata visionaria e il coraggioso messaggio.
Una politica fatta di corpi
Che si tratti di fronteggiare una legge liberticida o un’emergenza sanitaria, la musica dal vivo, la musica dance, techno, house, il club e il ballo sotto cassa non sono mai un fatto neutro. Portare il proprio corpo ad un concerto, conoscere direttamente gli artisti, riunirsi in massa, ballare senza inibizioni sono anche e soprattutto un fatto politico. Gli spazi rivendicati da Cosmo sono quelli delle città gentrificate, del divertimento comandato e controllato esclusivamente nei luoghi di consumo, quelli del decoro cittadino, delle ordinanze anti-movida, dell’etero-normatività e del razzismo imposti ai soggetti che desiderano quel divertimento.
In una delle tracce più dadaiste del suo ultimo album, “Tristan Zarra”, si ascoltano gli sfottò rivolti al recente sistema di repressione esercitata su tutte le iniziative di aggregazione sociale, a tutte le esperienze che occupano e transitano per le strade, che creano folla, empatia, risate, scandalo. Ma questo ben prima del Covid-19: Polizia, polizia ti prende e ti porta via/ grazie a Dio non sono io, di me si fidano/ Festival! Polizia!
Godere è un diritto di chiunque e, in una società che ci sfrutta solo come consumatori e ci sottomette ad un lavoro che – se c’è – non nobilita per niente, godere è anche un atto di ribellione.
La musica che gira
Il 5 luglio 2020 infatti, mentre l’intero settore musicale è in stallo a causa dell’epidemia, Cosmo interviene dal palco degli Stati Popolari a Roma ed esprime molto chiaramente ciò che già traspare da tutto il suo lavoro di artista. Tra i primi firmatari dell’appello per la riforma del settore musicale, chiamato La musica che gira, Cosmo, insieme ad altri portavoce di categorie di lavoratori “invisibili” (primi fra tutti, i braccianti del Mezzogiorno), punta il dito con risolutezza contro la spietata logica del profitto. Rinnega il fallace criterio meritocratico, i privilegi di pochi a dispetto di molti, la venerazione del successo e del denaro. Insomma, smaschera le enormi ferite che affliggono la nostra società e denuncia i processi attraverso cui queste ferite continuano ad inquinare anche il mondo dell’arte.
La musica che gira (lavoratori della musica uniti) punta ad un modo nuovo di concepire e organizzare i live e gli eventi musicali, all’insegna del godimento, dell’inclusività, dell’ecologia, della visibilità culturale, senza inutili zavorre burocratiche. Una riforma dovuta, secondo l’artista, il quale, rabbiosamente, scrive anche: “siamo un insieme di professionalità diverse che si fanno il culo per riparare ai danni morali, psicologici e sociali che la nostra società infligge a tutti.” I duri j’accuse di Cosmo al darwinismo sociale, al neoliberismo, al libero mercato senza nessuna regola, hanno un taglio decisamente anticapitalista. Ma questo lui ce lo cantava già nel suo album d’esordio “Disordine” (2013) quando si copriva gli occhi con le mani per vedere cosa c’è dopo il gran finale del capitalismo (“Il digiuno”).
Il ruolo dell’Artista storicamente è sempre stato critico e conflittuale verso un mondo che prima non lo comprende, poi lo dileggia, infine lo affama, ma l’esempio di Cosmo ci mostra pratiche alternative, coscienza collettiva di settore, correnti socio-culturali in lotta e in crescita, molto coraggio e musica da paura. Quindi ascoltate Cosmo, andate a ballare ai festival, godete.
In copertina: un fotogramma estratto dal video di “Sei la mia citta” (Cosmo, 2017)
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