Nostalgia al crepuscolo della Trap

Dalle sue origini statunitensi fino alla nuova scuola italiana il fenomeno trap è da sempre impregnato di un profondo senso di nostalgia.

Pauldavid Ligorio

Il corso degli eventi ha preso una piega strana e si inizia a parlare di nostalgia per il periodo d’oro della trap. Alcunə si chiedono come ciò sia possibile, ed effettivamente rispondere a questa domanda è più complicato del previsto. Probabilmente occorre fermarsi e riconsiderare gli eventi degli ultimi anni con un occhio un po’ più distaccato, senza lasciarsi condizionare troppo da un sentimento che per quanto naturale nasconde delle insidie notevoli. 

Vi ricordate quando nel 2016 passava in radio e in TV Black Beatles dei Rae Sremmurd? Un sound nuovo sfondava le orecchie di un pubblico assopito in uno schizofrenico palinsesto in cui a dominare le classifiche erano J-Ax, Tiziano Ferro, Sia e tante altre cose un po’ POP e un po’ troppo insapori. Guardavamo increduli quel video musicale in qualche schermo di un bar, ipnotizzati dalle imprese del duo del Mississippi mentre rideva, beveva, fumava, scopava e faceva finta di essere i Beatles. “Ben arrivati nel futuro, finalmente!” pensai, mentre ripercorrevo il percorso mentale che mi ha portato ad ascoltare trap fin dalle sue prime apparizioni mainstream in Italia nel lontano 2014.

Il video di Black Beatles dei Rae Sremmurd

Dopo poco la nuova scuola conquistò il pubblico a colpi di Sfera Ebbasta, Tedua, Dark Polo Gang, Ghali, Migos, Future, Young Thug, Lil Uzi Vert, per citarne alcuni. Quegli anni ci hanno regalato una delle stagioni musicali più interessanti ed entusiasmanti dall’era del Rock, alla faccia dei moralisti. Ma se si parla al passato c’è un motivo ben preciso: la trap è morta. O, almeno, si avvia verso la sua fine, verso una nuova trasmutazione, verso una nuova epoca, anche se da questo pantano non ce ne tireremo fuori in fretta.

Se provaste ad ascoltare oggi No Type, un altro grande singolo di successo del 2015, sempre firmato Rae Sremmurd, vi fareste inondare da un profondo senso di nostalgia. Non tanto perché quella traccia potrebbe essere stata la colonna sonora disruptive di momenti molto belli della vostra vita – insomma “I’ve been livin’ life (Yeah) / Like I lived twice” – ma piuttosto per il carattere fortemente melanconico della produzione, incastonato nel pezzo stesso, nel momento in cui fu inciso. La domanda sorge ormai spontanea. Come è possibile che gli dèi del party continuum fossero così tristi?

Per scoprirlo è necessario scendere nei dettagli. Scoperchiamo il vaso di Pandora con qualche titolo: I Don’t Sell Molly No More di ILOVEMAKONNEN, Best Friend di Young Thug, Freak Hoe di Future, Lit di Wiz Khalifa, Drink on Us di Mike Will Made-It, XO Life Tour di Lil Uzi Vert, Sad! di XXXTENTATION, Hellboy di Lil Peep. E, come esempio concreto dell’intrinseco incorporamento del sentimento nostalgico all’interno delle maggiori produzioni trap degli anni recenti, peschiamo Trough The Late Night (2016) di Travis Scott. La traccia presenta melodie e tappeti sonori evanescenti, in bilico tra l’entusiasmo e la tristezza, che fanno da contrasto a una ritmica ossessiva, surrealistica e confusionaria, seppur perfettamente ancorata a una struttura in 4/4 e tarata intorno ai 130 bpm. I testi sono una collezione di momenti, istanti di consumo di sostanze psichedeliche, la descrizione rapsodica di una quotidianità di scoppiettante dissipazione: “The vibes are effervescent, delicious, just how they should be / N, N-Dimethyltryptamine and Lysergic acid diethylamide (LSD ndr.)” Questo tipo di racconti sprofondati nel buco della tristezza, se non della depressione più nera, vengono direttamente innestati nella scena italiana, che è stata particolarmente perspicace nel trasporre l’elemento nostalgico della trap, cogliendo anche l’aspetto tristemente ironico della faccenda. 

Travis Scott

E così Goosebumps di Travis Scott diventa Gigante che recitava “fratello l’accendiamo grande / anzi gigante” di Gemitaiz. Una traccia circolata parecchio durante lo spaccato dell’epoca d’oro della trap in Italia. Questa era solo la superficie dissacrante di una produzione che avrebbe scritto barre  ben più memorabili. Infatti, seppur ciò che solitamente si dice sulla trap italiana sia vero – ovvero che si tratta di un prodotto importato dagli Stati Uniti – la maniera in cui questo movimento culturale è stato reinterpretato è unico, sconcertante, geniale. In Italia la trap è stata fatta XDVR (per davvero, ndr.), citando la traccia di Sfera Ebbasta che ne ha spalancato le porte. Traslando le prerogative del Dirty South statunitense alle periferie violente di Milano, Genova e Roma, la trap italiana ha descritto una realtà desolante, nichilista e aggressiva, poiché in Italia si trasformano pacchi in carta viola e gialla, parafrasando Alprazolam della Dark Polo Gang.

È proprio dall’ultima produzione dello scalmanato Tony Effe che il discorso sulla nostalgia trap ha preso forma, ovvero Untouchables (2021), un disco che vive delle suggestioni del passato, di un mondo musicale ormai al crepuscolo, spazzato via dall’emergenza sanitaria globale; un disco che comunque rimane ed È trap, come rivendica una traccia del disco. Ma purtroppo i tempi in cui si dominavano le piazze di spaccio, si mandavano a casa le ragazzine senza fare niente e il pollo e la coca saltavano nelle padelle sono ormai un ricordo. Infatti, racconta Tony in Piazza: “trap life, se ci ripenso adesso ho i brividi / anni fa vendevamo nei vicoli”. In generale l’album sembra consapevolmente pensato per rimembrare le grandi gesta della trap, quando si presentò in tutta la sua potenza. In questo senso il business dell’effetto nostalgia ha contaminato un genere che fin da subito sembrava essersi posto come un capitolo a parte rispetto al generale clima di retromania che ha condizionato gli anni ’10.

nostalgia trap
Dark Polo Gang nel 2016

Interpretare questo tipo di dinamiche è impossibile senza far riferimento a dei macro-fenomeni che condizionano la contemporaneità. Probabilmente ciò che nella trap si è sempre percepito come sovversivo, ovvero l’indifferenza per i dettami sociali, l’insofferenza per una condizione di vita marginale e povera, una prospettiva politica post-ideologica, il successo a tutti i costi, il desiderio per la disinibizione sessuale, percettiva, edonistica, non è bastato per evitare un preciso incasellamento all’interno del sistema consumistico nel quale si è costretti a vivere. 

L’idea che la trap possa essere la colonna sonora perfetta per la nostra epoca è esplorata nel saggio critico Trap: storie distopiche di un futuro assente, un testo che ripercorre gli sviluppi del genere negli States e la sua ricezione italiana. Secondo i diversi autorə del libro, anche la trap è vittima della “sindrome del futuro negato” e ci mostrano la contraddizione che il genere si porta dietro come “musica del fallimento. Fallimento che rientra nei piani, divulga e perpetra i modi del capitale, alimentando lo stesso sistema di cui ne espone gli effetti nefasti”. Il calco della riflessione è, ancora una volta, il citatissimo filosofo Mark Fisher, che con il suo realismo capitalista ha fornito una chiave di lettura specifica per questo tipo di fenomeni culturali di derivazione anglofona. 

Ciò che nella trap era critica ai costumi, ostentazione coatta e sarcastica dei beni di consumo che dirottano e corrodono i desideri delle persone – gioielli, tecnologia, automobili, sostanze – altro non era che un’enorme pubblicità mascherata da ribaltamento carnevalesco di valori. Un lifestyle iperrealistico, un simulacro psicotico, secondo le parole del critico musicale Symon Reynolds, che parecchio si è speso per mettere in luce il carattere profondamente nostalgico della produzione musicale e cinematografica americana degli ultimi 20 anni.

E se la nostalgia per i bei tempi andati è l’unica prospettiva possibile, allora anche la trap non è esente da questa ricaduta psicologica, condannata anch’essa ad una data di scadenza inesorabile, come un cartone del latte abbandonato dietro a qualche scaffale. Insomma, la trap ha fatto la stessa fine del Rock, della Techno, dei film di Stanley Kubrick, del punk, dei Nirvana e probabilmente dello stesso Fisher. Ancora una volta: “No future!”, e tutto è da rifare da capo. Ma poiché la trap è finita, forse è arrivato il momento di guardarsi indietro e farne un campo di indagine seria per cercare la prossima uscita di sicurezza, abbandonando la nostalgia e il sentimentalismo inconcludente una volta per tutte. 

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