The Spell of Ducks: storie di frontiera e di casa dalle rive del Po

Lente d’ingrandimento sulla musica di The Spell of Ducks, la band torinese tra folk, cantautorato e voglia di scappare di casa.

Giuliano Comoglio

The Spell of Ducks hanno aperto bottega nel 2015 a Torino. Partendo da un fortunato duo i cui vortici creativi han finito per risucchiare man mano altri quattro musicisti che han completato il magico esagono voce-chitarra-banjo-contrabbasso-batteria. Un’esperienza ancora giovane, ma già in grado di servire pietanze gustosissime e che promette ancora tanta, tantissima esplorazione.

Ornitologia fantastica

Per chi non lo sapesse, la papere fanno incantesimi. E i loro incantesimi sono a forma di band il cui linguaggio si riferisce al folk, e alla poetica d’autore italiana e internazionale. Ma anche alle sonorità intime e schiette del country rock di una volta, per poi diramarsi in linguaggi e percorsi propri e originali.

Grazie a diverse pubblicazioni tra le quali spicca l’EP Soup (2019), gli Spell hanno già fatto fiorire i loro riferimenti di pasta anglo-americana attraverso un mosaico di suggestioni romantiche nel senso più autentico. Recitate con la voce roca e profonda dei cantastorie e sonorità che fanno viaggiare le nostre menti sulle lunghe strade che tagliano gli States dal Texas alla California.

Immaginario compatto

Concentrandoci invece sull’ultimo album uscito, Ci vediamo a casa (2020), approdiamo a un ulteriore sviluppo dell’immaginario del gruppo. 

Una raccolta di nove tracce per lo più in italiano il cui baricentro resta l’indagine di sé. In una luce realistica e dolcemente ironica, accompagnata da un pianoforte, più presente rispetto alle scorse produzioni, e da coinvolgenti cori. Violino e ottoni trasportano verso atmosfere dalla luce ancora spiritualmente folk, ma vicine a un certo Mannarino, e a tratti al Brunori dei primi tempi.

Per darci qualche riferimento cominciamo dalla prima traccia, Scarpe Nuove. Un flusso di coscienza riguardo alla dimensione sociale della nostra quotidianità tra la leggerezza dei toni raggae sul riff in apertura – in sintonia con quel mondo indie affezionato ai sound classici – e la profondità nell’impronta country verso cui gira man mano il brano. 

La collocazione come pezzo introduttivo, in grado di delineare fin da subito la grande diversità sonora che incontreremo anche nelle tracce successive, ci dà subito gli strumenti per capire che questi artisti si distinguono da tantissimi altri. Gli ultimi anni ci hanno abituati a migliaia di produzioni – anche di artisti acclamati –composte magari di ottimi singoli, ma completamente sconnessi tra loro per linguaggio, temi, sound, nel tentativo di dimostrare una varietà di interessi che spesso finisce per trasformarsi in semplice e ingenua incoerenza.

Esplorazioni linguistiche

Qua invece ascoltando di seguito la seconda traccia, Every Sunshine, capiamo dove stiamo andando a parare. Uno spaccato sul passato e sui legami emotivi, l’immagine della luce del sole che ‘lava la mente’, dipinta con un inglese che riporta all’esperienza di Soup. In più una musicalità morbida e contenuta confermano il baricentro creativo dell’album. 

E la retta che passa attraverso questi primi due punti non fa che solidificarsi con lo scorrere delle tracce, in particolare la quinta, Johnny. Qui un italiano dimenticato, in grado di parlare della natura si lega a un sound che è un autentico idillio capace di portarci lontano. E re-impara a farlo solo dopo aver conosciuto l’inglese delle ballad di Eddie Vedder o dei Mumford and Sons. Sopra un placido strumming della chitarra mentre gli altri strumenti si sovrappongono man mano come un onda in rigonfiamento, esaurendosi poi all’avvicinarsi del finale.

Un dato non trascurabile è proprio la perfetta adattabilità tra italiano e inglese. Questi signori non mostrano alcun segno di cedimento. E anzi, colgono l’occasione per immaginare all’infuori dei termini in cui ci costringono normalmente le logiche della lingua (vedi Johnny) e per sperimentare mash-up linguistici (vedi Every sunshine) che profumano di idea geniale.

The Spell of Ducks insomma sono tipi tosti. Che, credetemi, faranno parlare molto di sé e che sicuramente conosceremo ancora meglio con il passare del tempo. Nel mentre, un po’ di ascolti per far mente locale in attesa di nuovi succosi sviluppi.

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