Following permette di individuare gli archetipi cinematografici e di pensiero di Christopher Nolan, ricostruiamo il caso.
Il primo lungometraggio di Christopher Nolan è Following (1998), un intricato neo-noir di 70 minuti che compensa la breve durata con una struttura narrativa originale e un’analisi socio-psicologica di notevole interesse. Basta infatti conoscere un minimo la filmografia del regista per capire come queste siano sue proprie costanti.
La freccia del tempo
La grandezza di un autore, tra le altre cose, consiste nella padronanza e nella manipolazione dei concetti. Il Tempo, nelle mani di Nolan, segue le sue regole.
La non-linearità della narrazione
Esemplare è il caso di Memento, in cui il montaggio e la malattia mentale del protagonista “seguono” la stessa dinamica, o al suo ultimo lavoro, Tenet, in cui la sequenzialità cronologica, la freccia del tempo, è ripiegata su se stessa fino a una mise en scéne che distrugge le “verità di fatto” di leibniziana memoria1. Nolan, attraverso le sue opere, è in grado di contraddire la razionalità logica (Inception) e quella fattuale (Interstellar).
Il mondo è solo uno di quelli possibili
Rimanendo su Leibniz, nelle opere del regista inglese non c’è teodicea, non c’è giustificazione morale del “creato”. Nell‘universo di Nolan non c’è nemmeno morale. Le sue creature sono infatti scevre di giudizi di questo genere.
Esempi di questo tipo sono i personaggi di Following: uno scrittore fallito, un ladro professionista, una donna mendace, un pericoloso (“molto pericoloso”) gangster. L’analisi di questi individui è piuttosto sociologica.
L’individuo e la società
Il protagonista è Bill (o almeno così dice di chiamarsi), irrealizzato, inattivo, annoiato e di labile emotività. Egli sente qualcosa solo pedinando le persone. Il nostro osserva la massa, dinamica ma amorfa, fino a fissarsi su un solo elemento. Individuatolo, questi lo isola, lo individualizza, lo rende individuo. Gli dà dignità, ragion d’essere, quella specificità che lo distingue dalla massa in cui è inserito e lo definisce, marcandone i contorni. Quello che osserva è ora un Soggetto, un Uno. Ciò che Bill discerne dal mondo sociale è ciò che vorrebbe essere lui. Un Individuo.
Il fatto poi di seguire qualcuno una volta soltanto gli dava l’occasione di specificare e particolarizzare quell’individuo in maniera ulteriore.
La mania del controllo, le regole rigidamente rispettate, sono le costrizioni autoinflitte. L’infrazione di queste permette l’intreccio. Come nella vita reale, il mettersi in dubbio favorisce le esperienze e la definizione di sé.
Così conosce Cobb, disonesto effrattore di appartamenti che più che rubare crea scompiglio nelle vite delle sue vittime. Cobb è l’antitesi di Bill: dove il secondo identifica le persone per negazione, per sottrazione (“Quando sottrai, gli mostri quello che avevano”, ripete spesso), il primo le identifica per isolamento. Invertendo la dialettica idealista2, il momento del non-io è successivo al momento dell’io particolare.
“L’Uomo stempiato”, il reale (o meglio realistico) delinquente del racconto, semina terrore con modalità mafiose. Il suo potere è, come dichiara “la Bionda”, dovuto al suo denaro, guadagnato grazie al suo impero pornografico, estorto ai deboli e riottenuto con ogni mezzo. La donna, manipolatrice, finisce intrappolata nel suo stesso doppio gioco e vittima del reale inganno, quello di Cobb.
L’illusione prima di The prestige
Dalle prime scene l’impatto è paranoico e ossessivo: le musiche incorniciano spasticamente ogni oggetto, con un’attenzione al dettaglio al limite della nevrosi. Gli stessi oggetti sono mostrati in un ordine non sequenziale, o al massimo la loro presentazione è, almeno al momento, logicamente sconnessa, irrazionale. L’atteggiamento psicopatologico emerge dunque fin dall’inizio, manifestazione di uno dei temi dell’intera pellicola, che avrà il suo apice nell’ultima scena, quando la figura materiale di Cobb scompare tra la gente in strada.
È attraverso la strategia retorica, il doppio vincolo e l’inventiva di quest‘ultimo, che il protagonista viene spinto alla disonestà e all’intrigo, fino a dubitare della reale esistenza dello stesso ladro che ha messo in moto tutto il meccanismo persuasivo. In questo modo è lasciato allo spettatore il dilemma tra gioco psicologico e psicosi.
Un azzardo retrospettivo: le influenze
Guardando indietro, possiamo azzardare delle influenze stilistiche e contenutistiche nell’opera prima di Nolan. Non sappiamo con esattezza quali siano i suoi maestri, ma osservando questo lavoro è possibile individuare dei richiami al cinema francese.
La Nouvelle Vague
Ciò che è certo, è che si tratta di un film low budget. Decisamente low budget!
Tra produzione ed editing, il film è costato complessivamente tremila sterline, pagate direttamente dal regista allora fotografo. Per risparmiare sulla pellicola, la parte più costosa dell‘intero budget, si è preferito provare le scene numerose volte a camera spenta per il buona-la-prima di registrazione.
Gli attori, per giunta, non erano (eccezione fatta per lo zio John) professionisti, aspetto che, insieme all’illuminazione naturale, richiama la stagione del realismo francese degli Anni ‘60.
Siamo a Londra, piuttosto che a Parigi, ma anche qui la città parla, si muove. I rooftop offrono una panoramica della metropoli, protagonista come in Truffaut, e la prospettiva del ponte in ferro ricorda la celebre corsa di Jules e Jim (e Catherine, ovviamente).
Richiamando il montaggio narrativo possiamo anche notare la “voce” del film: lo strumento diventa significato, referente del segno tecnico, alla stregua del montaggio audio della scena di Band à part (anche se in quel caso si trattava piuttosto di silenzio) o delle musiche di La donna è donna.
Il Pickpocket di Bresson
Tecnica protagonista, dunque. Tecnica agente e con ruolo narrativo.
Robert Bresson in un’intervista parlava del “montaggio” come “fosforo che si sprigiona improvvisamente dai tuoi modelli, fluttua intorno a loro e li unisce agli oggetti”3.
L’utilizzo che Nolan (o meglio, la moglie) fa del montaggio sembra sia stato suggerito proprio da Bresson.
Nel 1959, il maestro francese (“egli è il cinema francese come Dostoevskij il romanzo russo e Mozart la musica tedesca”, secondo l’opinione di Godard) gira Diario di un ladro.
Following, presenta con questa immortale opera non poche analogie, al punto da far credere che ci sia qualcosa di più oltre al mero citazionismo.
Il giovane non inserito, inetto, solo; l’apprendistato presso un professionista e l’emancipazione da questi attraverso il tentativo di autonomia d’azione; la voce fuori campo simbolo della predilezione di Bresson del “monologo anziché [del] dialogo”: tutti questi elementi possono non essere soltanto casuali.
Occorre però tenere ben presente una questione non sottovalutabile, per evitare di collegare i puntini con lo spago rosso: il finale. In entrambi i film il protagonista viene smascherato, ma solo in Pickpocket vi è pentimento. Il personaggio di Nolan non è il Raskol’nikov bressoniano, in quanto, come si diceva sopra, nel materialismo del cineasta inglese non c’è posto per il giudizio morale.
Rimane tuttavia un collegamento con quello spago rosso che abbiamo appena tentato di recidere. Queste sono ancora le parole di Bresson, che, se non fossero accreditate, potrebbero essere accostate alla spiegazione che Nolan fa del suo primo film e dell’intero suo cinema:
«La straordinaria abilità delle mani, la loro intelligenza! Mi sembra di ricordare di aver letto una frase di Pascal […] che cominciava così; “L’anima ama la mano”. L’anima di un borsaiolo, la mano di un borsaiolo. C’è qualcosa di meraviglioso in questa destrezza. Non avete mai colto il turbamento che crea nell’aria la presenza di un ladro? È inspiegabile. Ma il cinema è appunto il dominio dell’inesplicabile.»
Note
1. Il fenomeno secondo il quale un corpo elastico rimbalza è un fatto. Se su questo mondo ciò non dovesse accadere, questo non costituirebbe una contraddizione logica (secondo cui una sfera è, e al contempo non è una sfera), ma solo fattuale.
2. Per il filosofo tedesco J. G. Fichte l’identità logica e psicologica segue i tre momenti del pensiero: posizione (affermazione = Io assoluto), opposizione (negazione = non-io) e riflessione (“ripetizione del porre” = io particolare).
3. Tutte le citazioni sono prese da: Adelio Ferrero, Robert Bresson, Il Castoro Cinema n. 25, La Nuova Italia, Firenze 1976.
Hai letto: Nolan sulle tracce del palindromo: Avan-retrospettiva a partire da Following